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Di nuovo estate

Odio l’estate. Non per il caldo soffocante, per l’incessante andirivieni di turisti indolenti che si affannano a riempire i loro giorni di attività insignificanti, né per la solitudine di chi resta e vede le città svuotarsi. Ho passato da tempo la mia estate più felice e quelle successive non sono state che anni pieni di speranze vane. C’era una frase che amavo particolarmente ripetere per sfuggire ai discorsi inquisitori sulla mia carriera - la prossima estate sarà quella buona-. La dicevo credendoci, all’inizio, lo raccontavo come una favola bella agli amici che mi chiedevano perché non scrivessi più nulla, alle cameriere dei bar che mi riconoscevano dalla copertina del mio unico disco: quello che aveva suonato ininterrottamente nell’estate 1971. Ma le estati passavano senza la mia voce come protagonista, nonostante mamma tenesse ancora tutti i ritagli di giornale che parlavano di me, sempre più rari di anno in anno. Poi se ne è andata anche lei e allora ho avuto l’impressione che davvero più nessuno si ricordasse di me. Non me la passo male, per la verità; ogni estate vengo qua, a Jesolo, dove tutto è iniziato. Dormo sempre allo stesso hotel -due stelle- ceno sempre allo stesso ristorante, una volta cambiavo ragazza ogni sera, adesso non mi interessa più. Qualche volta mi ritrovo a passeggiare fino in punta al molo, come quando ero giovane e mi scopro ingenuamente a respirare a pieni polmoni la stessa aria di trent’anni fa, come se mi potesse restituire l’ispirazione: non funziona mai. Sono diventato come tutti gli altri, non la grande star che sognavo da bambino. Si dice che ogni persona al mondo abbia quindici minuti di fama nella propria vita: io ho avuto un’estate intera, dovrei esserne contento. Invece mi sento soltanto insensibile, incapace di comprendere i suoni e le emozioni delle generazioni che cambiano così velocemente, proprio io che rappresentavo la mia. Dovrei soltanto scordarmi quella vita, rinunciare alle velleità d’artista e lasciarmi alle spalle un mondo che non mi appartiene più o forse non mi è mai appartenuto. Ma è già ora di cena, costeggio le barche ormeggiate, le persone che tornano dalla spiaggia, i locali che si riempiono per l’aperitivo-magari mi fermerò per uno spritz. Ad un tratto, come per magia, sento un suono molto familiare provenire da uno di questi bar: è il meno frequentato, ma non mi importa. Quella è la mia canzone. Mi siedo, faccio un cenno al cameriere e scorgo due signore non più giovani che sembrano riconoscerla. Sono vestite eleganti, nonostante non sia ancora sera inoltrata. Accanto ad una di loro, una bambina bionda con i codini canticchia la mia canzone battendo il tempo con i piedi. ‘‘Questa l’ho scritta io’’ le dico, facendole l’occhiolino. Mi sorridono. Forse  questa è l’estate buona.

E. B. 
II B Class.

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