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MANSPLAINING : smettiamola di farci zittire

Vi è mai capitato, nell'ambito di una discussione, di trovare un interlocutore, uomo, che con un atteggiamento paternalistico e un tono saccente, tracotante, vi spiegasse l’argomento oggetto della conversazione, sul quale voi avevate piena padronanza?
Molte di voi sapranno già cos’è, se non altro perché ne sono state vittime, ma per chi non lo sapesse il mansplaining indica l’atteggiamento paternalistico e saccente di alcuni uomini, quando spiegano a una donna qualcosa di ovvio, oppure qualcosa di cui lei è esperta, ma pensano che lei non capisca davvero la materia in cui è specializzata, pretendendo, quindi, di saperne più di lei.
Di tutte le forme di sopraffazione è la più sottile perché, non coinvolgendo nessuno scontro fisico e non lasciando ferite documentabili, è difficile da riconoscere e contrastare. Inoltre, essendo spesso travestito da gentilezza o disponibilità, il mansplaining spiazza la vittima e la pone nelle condizioni di subirla per non “dare fastidio” all'interlocutore.
Si tratta di un comportamento che fino a una decina di anni fa non aveva un nome. Oggi, invece, si definisce mansplaining. È stata Rebecca Solnit, giornalista e attivista americana, a concettualizzarlo nei primi anni 2000. Solnit è partita dalla propria esperienza personale: in molte conferenze pubbliche si ritrovava a dover ascoltare spiegazioni non richieste, in merito ai temi esposti nei suoi saggi, da uomini non particolarmente preparati sull’argomento, ma che in ogni caso si sentivano in dovere di esporre le proprie conoscenze in merito. Lo scopo non era quello di aggiungere una sfumatura al dibattito, ma, al contrario, di fornire un’opinione come se fosse l’unica possibile, quella giusta.
Dalle riflessioni su questo comportamento nasce il suo libro Gli uomini mi spiegano le cose. Nel libro, Solnit definisce il mansplaining come una micro-aggressione, poiché si tratta di un tentativo di esercitare un potere su una persona, una donna, svilendone le competenze. Secondo Solnit, questo atteggiamento è radicato nella nostra cultura poiché, a lungo, le donne sono state relegate nella sfera privata e non hanno avuto occasione di prendere la parola nel dibattito pubblico, dimostrando di poter essere in grado di gestire una conversazione con competenza e rigore.
Gli uomini che fanno mansplaining ingigantiscono il proprio ego tentando di ridimensionare le competenze dell’interlocutrice. Attraverso questo fenomeno, ci ricorda la giornalista, sembra che gli uomini vogliano aspirare a sentirsi infallibili attraverso la messa in discussione delle competenze della controparte.
Il mansplaining si esprime particolarmente in tutto il dibattito femminista, dove la pretesa maschile di sminuire la discussione intorno a questo macro argomento si palesa in tutta la sua forza. Le ricerche affermano che i maschi durante gli incontri e le conversazioni, tendono a prendere più spesso la parola rispetto alle donne: secondo uno studio effettuato dall’Università di Princeton, 3 volte di più. Se non riescono a prendere la parola, la ottengono interrompendo: secondo uno studio del 2015, più del doppio rispetto alle donne.

Un altro brillante esempio di mansplaining ci viene offerto da G. Z. e C. A. nei confronti di Valeria Parrella.  Lei: l'unica scrittrice finalista su sei al Premio Strega, ovvero il più importante premio letterario italiano. Lui: il conduttore del Premio Strega, andato in onda in diretta su Rai Tre. L'altro lui: un giornalista, chiamato dal conduttore per essere intervistato sul movimento #metoo. V. P., in concorso con Almarina, affronta nel suo libro proprio la condizione femminile e il conduttore conclude la sua intervista, dicendo: «Due personaggi femminili, quelli di Elisabetta e di Almarina, che hanno una serie di caratteristiche […] che coagulano un pezzo della condizione femminile di questo millennio. E lo dico perché con C. A. adesso proveremo a ragionare su un argomento sul quale V. P. potrebbe tenerci per tutta la sera, e cioè su cosa è cambiato con il MeToo.»
Lei ribatte: «E lei ne vuole parlare con A.? Auguri!». Il conduttore tenta di correre ai ripari: «Dice perché fra uomini facciamo male a parlarne? Prometto che ne riparleremo anche con lei.» Al che interviene anche il giornalista : «Ha ragione V., ma mica tanto. Che diritto hanno allora due persone che si occupano di libri di parlare dei minatori del Sulcis? Io non sono una donna, evidentemente, però la condizione femminile mi interessa molto.» Quindi, ricapitoliamo, c'è lei, donna, che ha scritto un libro sulla condizione femminile. E c'è lui, uomo, risentito per il suo diritto di opinione sui temi femminili, che promette che in futuro le concederà la grazia di poterne parlare. E poi l'altro lui, uomo, che non sarà donna, ma è interessato alla condizione femminile. Questo è un chiaro esempio di mansplaining: ossia un uomo che non sa nulla di un argomento, ma che lo spiega alla donna che, invece, ne sa molto più di lui e ha anche tutti i titoli per dimostrarlo. E sulla base di cosa? Sulla base che lui essendo uomo è convinto di sapere di più di una donna. Il mansplaining si verifica spessissimo, soprattutto nel mondo del lavoro. E gli uomini altrettanto spesso lo rinnegano, fermamente convinti di saperne molto di più delle donne: non importa quanti titoli la donna dimostri di avere per avvalorare le sue conoscenze in merito, l'uomo sarà sempre convinto che i suoi titoli non valgano e che, semplicemente, lui è più intelligente di lei ed è lei a non capire.

A quante di noi è capitato? Scommetto a tutte. E la cosa peggiore è che ne siamo talmente tanto abituate che spesso finiamo col credere che sia vero che l'uomo sappia di più di noi. E soccombiamo, col rischio di tacere la volta successiva. Inoltre, credo sia necessario sottolineare l'ipocrisia di quanto è accaduto: il Metoo è nato proprio per dare voce alle donne, per farle emergere dal ruolo secondario che hanno sempre avuto, in cui erano vittime degli abusi di potere degli uomini. Facendo parlare di questo movimento un uomo, anziché una donna, si continua a rimettere la donna in secondo piano, togliendole, ancora una volta, la credibilità e l'importanza che il movimento Metoo tentava di restituirle.
Basta essere messe in secondo piano.
È ora di reagire e di prendere i nostri spazi.
È ora di far sentire la nostra voce.

D.V.
IV B ling.

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