Foto scattata dalla scrivente |
Guardo il sole immergersi lentamente dietro alla linea dell’orizzonte. Le persone scemano pian piano, dirette verso qualche ristorante pieno di specialità tipiche o verso le loro case vacanze affittate per quindici giorni o poco più. Chissà in quanti sono qua per festeggiare il ferragosto, chissà con cosa riempiranno le loro serate per sentirsi speciali, rilassati o almeno per credere di aver speso bene i loro soldi. Negli anni ho visto scorrere una fiumana ininterrotta di gente sempre diversa, ma che, se chiudo gli occhi, mi sembra sovrapporsi nei volti, negli atteggiamenti e negli abiti, fino alla nausea. Mi sembra di averli davanti agli occhi tutti quanti, a chiedermi se con due lettini si ha diritto anche alla cabina, o se l’acqua calda delle docce funziona a gettoni. Coppie giovani, con bambini e una quantità spropositata di palette, secchielli e formine per la sabbia; signore anziane che vengono per sedersi in riva al mare con le loro amiche, turisti stranieri, tedeschi perlopiù, che arrivano il lunedì e se ne vanno sempre esattamente di domenica: io sempre qui, fin da bambina ad accoglierli tutti sotto lo sguardo vigile dei miei, con mio papà che insisteva affinché passassi qua tutti i pomeriggi, perché – almeno inizi ad imparare il mestiere -. Poi ogni anno la stagione volge al termine, la spiaggia si svuota, riponiamo gli ombrelloni e le sdraio nel magazzino di via Risorgimento e il clima cambia. Tutto si ingrigisce già da fine settembre e nonostante tutti magnifichino i vantaggi dell’inverno mite vicino alla costa, qua la vita diventa sbiadita come una canzone che sfuma via. Tanti chiudono le loro edicole, o i negozi di costumi e ciabatte per andare a passare la stagione invernale altrove, magari nelle località di montagna dove, come dice Vanni, il papà del Nico, il mio migliore amico - si va a svernare –. Chi resta qua vive sospeso, facendo le cose di tutti giorni certo, ma vivendo in funzione della prossima estate, come me, che aspetto maggio per rivedere Nico, come i progetti degli adulti, come mamma e papà, che iniziano ogni discorso con “dall’anno prossimo…”. Chissà che cosa vuol dire non essere nati qua, non dover vivere in funzione di sconosciuti che arrivano ad ogni inizio settimana, ciclicamente, non sognare di andarsene ogni mattina, quando apri la finestra e vedi le spiagge bagnate dalla pioggia di ottobre, il cielo grigio e il mare che lo riflette. Avrei voluto poter scegliere il mio futuro, poter decidere che il lungomare, le palme e gli stabilimenti non facevano per me. Mia madre, ex villeggiante rimasta poi qui per mio padre, ripete spesso che non avrebbe voluto niente di diverso, che rifarebbe tutto: non pensa nemmeno che questo posto per qualcuno non sia stato una scelta, ma una condanna. Nessuno a scuola ama particolarmente qua, ma la maggior parte dei miei compagni fa già progetti per il futuro, tutti lontano da qui. La libertà che hanno la danno per scontata, nessuna catena, nessuna aspettativa né destino già scritto, nessuno da deludere. Vivere al mare non è bello come pensano i turisti, nessun bagno a maggio può compensare la solitudine dei locali chiusi e delle sedie impilate dei bar, e non è vero che d’inverno qui non fa freddo.
Vorrei sparire a volte, salire su una delle grandi navi che arrivano ogni due settimane al porto e chissà, finire lontano da qui e poi…
-Scusi signorina, lo stabilimento è già chiuso? Ho scordato il portafoglio nella cabina 14, può controllare?- mi interrompe una voce con un forte accento straniero. Sospiro, mi scuoto via la sabbia dalle gambe e lo accompagno a riprenderselo: domani è di nuovo lunedì.
E . B.
II B Class.
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