https://pixabay.com/it/
‘’Il glicine’’
A tutti piace ritornare. O almeno così pensa
Eleonora, che da almeno due anni vive fra le strade e la stazione di Firenze e
un posto dove ritornare non sa nemmeno cosa sia. La cosa più vicina ad una casa
che abbia mai avuto é il suo posto fisso sullo sgabello della pizzeria al
taglio Ristori, quello in fondo al locale con la seduta nera di similpelle
tutta rovinata, dove la luce quasi non arriva ad illuminare il suo piatto di
plastica. Mangia lí tutte le sere, consuma in fretta il suo trancio di pizza e
la bottiglietta d’acqua, che quando può permetterselo sostituisce con una
lattina di Coca Cola. Quando poi il locale sta per chiudere si fruga nelle
tasche per raccattare qualche moneta e pagare la sua cena e si ficca in tasca
quello scontrino da 1,50€ che va a fare compagnia agli altri delle sere
precedenti. Di solito resta un po’ lí seduta sulla panchina di fronte, ad
aspettare che la serranda scenda sulla vetrina illuminata al neon, ma non
stasera. Il vecchio Nokia che ha in tasca vibra, mentre un numero sconosciuto
illumina il display. -Buonasera, Eleonora? La chiamo per quell’annuncio, il
posto da donna delle pulizie. Potrebbe venire domani, in via Tornabuoni,
l’indirizzo esatto è...- . Eleonora ammutolisce, non pensava nemmeno che
qualcuno avrebbe notato quell’annuncio, men che meno qualche ricco proprietario
di una casa in una delle vie più belle di tutto il centro.
L’aveva messo quasi un mese
prima, un po’ per necessità e un po’ per il desiderio di trovarsi un lavoro
normale, come tutti quelli delle persone che vedeva riempire la stazione ogni
mattina. Del resto l’inverno si stava avvicinando ancora una volta e sarebbe
stato bello potersi permettere un tetto sulla testa.
Sospira, si infila sotto il suo cumulo di coperte e cartoni, la stazione così vuota sembra ancora più fredda, nonostante sia solo settembre.
Il mattino dopo, quando il sole
non è ancora sorto, è già sveglia. Si sente strana, agitata come se stesse
andando chissà dove, e non a fare delle pulizie a casa di uno sconosciuto.
Mentre si sciacqua il viso con l’acqua fredda del bagno della stazione,
riflette. Forse in questi casi ci si presenta con tutto, stracci e prodotti?
Non lo sa, non l’ha mai fatto e in ogni caso non ha nulla di tutto ciò, a parte
gli stracci, quelli si potrebbero ricavare da uno qualsiasi dei suoi pochi
averi. Decide di presentarsi così, a mani vuote, confidando nel fatto che il
fantomatico inquilino abbia almeno un secchio e del detergente.
Un’ora dopo è davanti all’indirizzo che le è stato fornito. La casa è splendida, una di
quelle dimore antiche con la facciata di pietra chiara e una miriade di
finestre ancora coperte da persiane impeccabili. Ma la cosa più straordinaria è
il glicine, fiorito fuori stagione, che si arrampica sulla facciata della casa,
per poi ricadere mollemente sul balcone. Quasi non osa suonare il campanello.
All’interno la casa é ancora più
sorprendente, nonostante sia insolitamente buia. Dappertutto le pareti sono
tappezzate di quadri che paiono antichi, e un enorme divano cremisi si staglia
sul fondo. All’ingresso un enorme tavolo intarsiato accoglie i visitatori, e
fra i vasi antichi c’è un biglietto. Il padrone si scusa per non essere
presente, dice che arriverà più tardi, saluta. Nemmeno ha voluto vederla in
faccia prima di farla in entrare in casa sua. È sorprendente a volte osservare
i modi di chi non vive alla giornata, in case come questa, in cui la povertà
sembra una realtà dimenticata.
Lí vicino c’è tutta l’attrezzatura che lei non ha, persino pulitori e elettrodomestici di cui non conosce nemmeno l’uso. Apre le finestre, passa l’aspirapolvere nel grande salotto, spolvera, ma in realtà non serve quasi: tutto sembra perfetto, impeccabile nella sua immobilità, a parte un tavolino basso, ingombro di penne e scartoffie, unico indizio che la casa la abiti davvero qualcuno. Chissà com’è il proprietario, probabilmente un avvocato, a giudicare dai libri che ingombrano gli scaffali, e sicuramente vecchio, a giudicare dal classicismo imperante dell’arredo, diviso fra mobili di legno scuro, argenteria e pesanti tende color zafferano.
Finito il salotto entra nella stanza accanto, che la lascia senza parole. È un bagno come non ne ha mai visti, a dire il vero nemmeno immaginati. Il pavimento è ricoperto di mattone chiaro, che riflette la luce che entra dall’enorme finestra, dalla quale si intravede il glicine. È posizionata proprio sopra una vasca interrata. È proprio questa ad attirare la sua attenzione, enorme e bianchissima, sembra invitarti apposta a sedersi. Distante anni luce ormai dallo squallido bagno della stazione, si sente irresistibilmente attratta da quella vasca. Non sa nemmeno cosa spera di trovare, vuole solo provare la sensazione di sedersi lí per un attimo, vedere come si sentono i ricchi. Si toglie le vecchie converse sdrucite e le lascia accanto al tappetino candido, poi con vestiti e tutto lentamente scavalca il bordo. Seduta in quella che sembra una conchiglia, sente per la prima volta bella sua vita una pace nuova. È una sensazione totalmente irrazionale, intorno il mondo si spegne e rimane solo lei, investita dai raggi di luce che filtrano dalla finestra. Per la prima volta, capisce cosa significa provare un senso di appartenenza, sentire di avere un posto in cui ritornare, per quanto irrazionale sia sentirsi a casa in quella di un altro, lei che ha la sua fatta di coperte e cartoni e un posto così non l’aveva mai nemmeno immaginato.
-È bella vero?- una voce la
sorprende. Atterrita salta in piedi, il padrone è arrivato, e l’ha trovata
proprio lì, seduta nella vasca. -Mi dispiace, io non so veramente cosa dire,
non intendevo...-la voce le si spegne, sicuramente in meno di due ore sarà di
nuovo senza un lavoro. Il padrone, un uomo più o meno sulla trentina, la
osserva tranquillo. -In ogni caso in un’ora avrò finito, non desidero disturbarla
oltre- aggiunge in fretta, come a chiudere velocemente quella conversazione.
L’uomo sta osservando con aria
attenta i suoi vestiti, le sue scarpe abbandonate vicino al tappetino. Infine
con una voce calma le risponde -Non é un problema, non mi disturbi. Piuttosto,
non hai un posto dove stare vero?-. Osservo per la prima volta il mio aspetto
nello specchio ovale di fronte a me: sembro esattamente quello che sono, una
senzatetto, quindi non gli deve essere stato difficile indovinare.
Al mio esitare, continua: - Non è
un problema, ho almeno cinque camere per gli ospiti vuote. Se sai cucinare e lo
desideri ti posso offrire un posto fisso, puoi restare qui. Quando salirai a
pulire al piano di sopra scegli quella che ti piace di più, penseremo dopo al
resto-. Negli occhi di quell’uomo gentile vedo il riflesso di ciò che ho
provato poco prima seduta in quella vasca da bagno, una nota accogliente, che
mi fa subito accettare l’offerta:,in fondo non lascio molto indietro. Annuisco
lentamente, come in stato di grazia. Intanto, fuori dalla finestra, il glicine continua a fiorire.
E. BOGGETTI, IIIB Classico
Commenti
Posta un commento