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“Ci dev’essere un modo migliore per fare le cose che vogliamo, un modo che non inquini il cielo, o la pioggia o la terra.”
(Paul McCartney)
Eccoci tornati a parlare dell’Agenda 2030!
Oggi, riprendendo l’importante progetto intrapreso dalla IVC del Liceo delle Scienze Umane dell’Istituto Superiore Balbo, parleremo di un altro gruppo fondamentale: quello che si sta dedicando all’analisi dei metodi di produzione degli alimenti. All’interno dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile per conseguire la salvaguardia della nostra Terra, vi sono ben due obiettivi dedicati all’ambito dell’alimentazione e di ciò che la concerne. Entriamo nel vivo del discorso introducendo l’obiettivo 2, importante sia dal punto di vista sociale che salutare ed ecologico. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere tecniche agricole e di allevamento sostenibili. Sulla superficie del nostro pianeta sono presenti 795 milioni di persone denutrite, e la maggior parte vive in Paesi in via di sviluppo, dove il 12,9% della popolazione soffre a causa della malnutrizione. I continenti più colpiti sono l’Asia e l’Africa, in cui i due terzi della popolazione non hanno il giusto accesso alle risorse alimentari e dove il tasso di denutrizione raggiunge il 23%. Di conseguenza ogni anno 3.1 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni non riescono a sopravvivere.
E’ quindi necessario, entro il 2030, raggiungere i seguenti traguardi prestabiliti dall’ONU all’interno dell’Agenda:
Porre fine alla fame in tutto il mondo e garantire a tutti gli abitanti della Terra un accesso sicuro al cibo;
Porre fine a tutte le forme di malnutrizione;
Garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili che permettano allo stesso tempo una produzione solidale e di proteggere gli ecosistemi.
Fondamentale in tale ambito è, inoltre, il settore agricolo, che in tutto il mondo impegna il maggior numero di persone aventi un’occupazione: basti pensare che fornisce l’80% del cibo che si consuma alla maggior parte del mondo sviluppato. Dal punto di vista sociologico, se le donne che lavorano all’interno dell’ambito agricolo avessero pari possibilità di accesso alle risorse rispetto agli uomini, si potrebbe ridurre la fame del mondo, arrivando ad un risultato di persone sofferenti la fame a un totale di 150 milioni.
Per giungere a una situazione tale è necessario perseguire i seguenti obiettivi:
Accrescere gli investimenti nel settore agrario per garantire uno sviluppo dal punto di vista tecnologico, garantendo una migliore produttività;
Garantire una correzione, o addirittura una completa eliminazione, delle restrizioni commerciali nei mercati agricoli;
Assicurare filiere di produzione giuste, solidali e a basso impatto ambientale.
Altro obiettivo fondamentale è il numero 12: garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo. Ogni anno in tutto il mondo è stimato uno spreco alimentare pari a 1,3 miliardi di tonnellate; il settore alimentare, inoltre, è responsabile del 22% dell’emissione di gas serra e del 30% del consumo di energia elettrica. Inoltre l’impoverimento dei suoli coltivabili e l’eccessivo sfruttamento dell’acqua e della pesca non permettono una produzione alimentare abbastanza efficace ed efficiente. Per tale ragione i traguardi prestabiliti per tale obiettivo sono:
Dimezzare lo spreco alimentare pro-capite e soprattutto cercare di portare il tasso di perdita all’interno della produzione alimentare pari allo 0%;
Utilizzo efficiente delle risorse naturali a nostra disposizione e gestione sostenibile sia nella produzione sia nella vendita dei prodotti alimentari;
Garantire un’educazione alimentare in modo tale da creare consapevolezza e coscienza critica, al fine di perseguire uno stile di vita basato sull’armonia fra lo stesso individuo e la natura che lo circonda.
E’ necessario inoltre introdurre la problematica degli allevamenti intensivi, una pratica zootecnica ampiamente diffusa. Secondo l’ONU, nel 2009 gli allevamenti intensivi erano responsabili del 18% delle emissioni globali di CO2. Una ricerca a livello europeo della ONG Greenpeace, ha mostrato che a partire dal 2007 e per gli 11 anni successivi gli allevamenti intensivi hanno aumentato la produzione di CO2 del 6%. Grazie a questo si è potuto evidenziare come il settore zootecnico, in Europa, in un solo anno, produca 704 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Una soluzione potrebbe essere quella di consumare e comprare solo una quantità di cibo adeguata alle proprie esigenze, regola valida anche per i capi d’abbigliamento. Occorrerebbe inoltre preferire prodotti imballati con materiali riciclabili che non inquinino l’ambiente. Le dieta vegetariane o vegane sono altamente ecosostenibile: scegliendo di intraprendere tale stile di vita è possibile diminuire fortemente l’impatto ambientale sotto quasi tutti i punti vista, in special modo l’inquinamento. Sarebbe preferibile avvicinarsi a una nuova concezione delle proprie azioni, basandosi sul pensiero critico, che permetta di avere uno sguardo verde al futuro e di sentire che ogni singola persona fa la differenza in una situazione tanto delicata quanto critica come la nostra, dal momento che costituirà il domani delle nuove generazioni.
G.P. IVS SCU
A.A. IIIB CLA
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