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‘Naufragare’

 

‘’Naufragare’’



Metto i piedi nella fontana e mi apro un varco nell’acqua tiepida, dietro di me  lascio una corrente lenta, come una scia che si dischiude al mio passaggio. Chi passasse in questo momento vedrebbe una ragazza con un vestito bianco vaporoso, ormai gonfio per via dell’acqua, seduta in mezzo ad una fontana, con il trucco ormai sciolto ed i capelli della acconciatura del tutto crollati. Appena un paio di ore fa il mio aspetto era del tutto diverso: avevo cercato il vestito bianco che avevo comprato anni fa, per andare ad un ballo della scuola; mi ero truccata e pettinata con cura, al collo avevo persino messo le perle del mio compleanno. La sera dell’inaugurazione della nuova sede centrale della tua azienda. Un evento di cui avevamo parlato per mesi, discutendo e immaginando tutte quelle personalità di spicco riunite in un un unico luogo, una serata elegante, probabilmente la più elegante a cui avremmo mai potuto partecipare. Io che già mi prefiguravo si portare in tintoria il vestito lungo per l’occasione, o addirittura comprarne uno nuovo, che si abbinasse alla tua cravatta. Un ingresso trionfale, a braccetto come le star di Hollywood sul red carpet, e poi un’intera serata in quel posto splendido. Ma poi io avevo ricevuto la notizia che quella sera il turno sarebbe toccato a me e tu, con una faccia che pareva contrita, avevi detto che saresti andato da solo. Avevi acconsentito di buon grado, e io mi ero sentita fortunata nell’aver ricevuto istantaneamente la tua comprensione. La comprensione a quanto pare, era invece ciò che mi mancava.

Stasera, come una particolare benedizione, avevo potuto uscire alle nove, vai pure mi avevano detto. Come una novella Cenerentola ero corsa a casa a prepararmi, sperando di  arrivare in tempo per i secondi. Ma a quanto pare non avevi bisogno di me: appena arrivata eri lì, con una ragazza che aveva addosso un incredibile vestito verde smeraldo e la mano stretta alla tua. Non mi hai cercato, non mi hai nemmeno tentato di spiegare, mi hai lasciata andare. Con le lacrime che mi rigavano il fondotinta, preso in prestito da una mia collega al lavoro perché io non l’avevo mai posseduto, ero corsa fino alla fermata della metro e poi, quasi in trance ero scesa qui. Era maggio di ormai troppi anni fa, mi avevi portato a mangiare in un ristorante nel viale e poi avevamo passeggiato fino a qui: questa gigantesca fontana illuminata di azzurro, con il rame delle monetine che luccicava sul fondo. Ne avevo raccolta una per scherzare -dai lanciala, esprimiamo un desiderio- ti avevo detto ridendo ma tu non eri dell’idea, ti aveva sconvolto il fatto che avessi messo una mano -in quell’acqua sporca-. Ricordo che l’avevo ributtata dentro sentendo un imbarazzo bruciante, la sensazione di essere totalmente inadeguata, sciocca. È esattamente come mi sento ora, forse è per questo che sono venuta a sedermi qui, come in una scena di qualche film anni sessanta: per farti dispetto. Del resto a te non è mai piaciuta questa fontana e io ci trovo, seduta nell’acqua tiepida, un conforto strano. Starò diventando matta?

-Ehi, cosa ci fai lì?- vengo ridestata da una voce maschile, un ragazzo che avrà la mia età e mi sta osservando preoccupato: non disgustato, non sconvolto, solo preoccupato e forse leggermente incuriosito. -Smettila di piangere, ti macchierai tutto il vestito! Che è successo di tanto grave?-. Non voglio rispondergli, gli lancio solo un’occhiata eloquente, non voglio che nessuno mi veda così. -Vengo anch’io, così mi racconti- dice e in un attimo, con scarpe giacca e senza nemmeno risvoltarsi i pantaloni è seduto accanto a me, nell’acqua argentea, mentre aspetta che gli risponda.

                                                                                                                    E.Boggetti, IIIB Liceo Classico

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