Chissà quante volte si è sentita e persino usata l’espressione (triste) “gabbia di matti”.
È proprio quello di cui parlerà l’articolo di oggi. Letteralmente. Le cosiddette cliniche psichiatriche, strutture sanitarie riservate alla cura ed al trattamento di persone affette da disturbi mentali, non sono sempre state dei luoghi di cura – e alcune, purtroppo, non lo sono ancora tutt’oggi.
Nel precedente articolo sulla giornalista Nellie Bly si è raccontato come la donna, nel corso della sua illustre carriera, si sia finta pazza per poi farsi internare proprio per raccontare la realtà degli orrori del manicomio femminile di New York, Blackwell’s Island Asylum. Nessuno in realtà sapeva quali fossero le reali condizioni della struttura e delle pazienti lì internate, tant’è che più notizie circolavano delle voci quasi leggendarie. Nellie Bly stessa scrisse che, prima di entrare al manicomio, credeva che le storie e notizie a riguardo fossero esagerate rispetto alla vera realtà; una volta entrata, però, si rese conto che era ben peggio di quanto si potesse mai immaginare.
La struttura era sovraffollata e le pazienti – spesso internate contro la loro volontà, non solo donne affette da effettivi disturbi mentali, ma anche povere, vagabonde ed immigrate – venivano trattate in un modo del tutto disumano. Nellie non racconta di un luogo di cura, ma di una vera e propria prigione, un regno macabro della tortura.
"Le “pazienti” non hanno dignità ed identità nel manicomio: vengono lavate in vasche comuni dalle acque putride, costrette ad asciugarsi con teli condivisi da più persone. Non esiste privacy, libertà di movimento, possibilità di dialogare; vengono maltrattate senza motivo apparente e subiscono ogni sorta di vessazione da infermiere prive di umanità e delle minime competenze" Nellie racconta di come una di loro non fosse neppure in grado di prendere misure con un metro o un termometro.
Nellie Bly viene ricoverata in autunno, ma le finestre vengono lasciate appositamente aperte e gli indumenti sono troppo leggeri per la stagione. Si aggiunge poi una scarsa alimentazione, dalle porzioni piccole e avariate. Nellie racconta di aver trovato nella fetta di pane ammuffito, che faceva parte del suo pasto, un nido di ragno. Per dieci giorni si costringe a mangiare senza guardare pur di sopravvivere.
Questa storia agghiacciante e macabra di disumani abusi viene raccolta e raccontata nell’inchiesta che scriverà Nellie dopo la terribile esperienza, “Dieci giorni in manicomio” (di cui è disponibile sia il pdf in lingua originale che il libro tradotto in italiano”).
“Una trappola umana per topi. È facile entrare ma, una volta lì, è impossibile uscire”, scrive Nellie.
Trappola, non ospedale o luogo di cura.
È il 1887 quando l’inchiesta viene svolta, successivamente scritta e pubblicata, ma la storia e l’origine dei manicomi è lunga e antica.
Nell’antichità la malattia mentale era ricondotta all’intervento di forze soprannaturali e divine e, per questa ragione, veniva “curata” attraverso riti mistici-religiosi. Nel Medioevo le persone che manifestavano comportamenti bizzarri erano considerate possedute dal demonio e venivano condannate al rogo. In tal modo l’anima, una volta liberata dal possesso demoniaco, poteva risalire in cielo.
Nell’età Classica, il concetto di follia subì un cambiamento: erano considerati “folli” coloro che rappresentavano una minaccia per la società e che perciò dovevano essere allontanati. Fu proprio in quel periodo che sorsero moltissime case di internamento, volte a rinchiudere persone con malattie mentali, poveri, vagabondi, mendicanti, criminali, nulla facenti.
Una delle prime case di cura fu l’Hospital Général di Parigi, fondato nel 1656. Inutile dire che nemmeno questa struttura poteva definirsi un luogo di cura.
È solo nel 1978 e solo in Italia che viene varata la cosiddetta “legge Basaglia”, la numero 180, la prima in assoluto che non solo regolamentava accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, ma che impose la chiusura definitiva dei manicomi. Prima di allora, erano tanti i luoghi – delle vere e proprie “gabbie” – dove venivano rinchiusi e privati di qualsiasi diritti i “malati di mente”.
Prima della legge 180, vigeva la legge 36 del 1904, per cui venivano internate nei manicomi le persone “affette per qualunque causa da alienazione mentale”. Erano i deviati, coloro che non rientravano nei canoni, per motivi che non erano sempre legati alla malattia mentale. In manicomio finiva chi era ai margini della società, ma anche gli omosessuali e tante donne.
“La gran parte dei reclusi non erano folli, erano persone che volevano esprimere qualcosa e cadevano nella follia quando questo veniva loro impedito” spiega Anna Marchitelli, che ha studiato le cartelle cliniche dell’ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli. “I medici– aggiunge –non toccavano nemmeno i pazienti, li analizzavano da lontano toccandoli con una penna o con le chiavi”.
Esistevano pratiche aberranti, perpetrate con lo scopo di “correggere” ed “aiutare” i pazienti. Tra queste le più macabre e dolorose furono la lobotomia – pratica a cui fu sottoposta Rosemary Kennedy (e di cui noi abbiamo parlato qui) – e l’elettroshock.
La poetessa Alda Merini riporta con tali parole l’atroce ricordo di questa pratica: “In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock […] La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile […] Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra. Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo”.
Ora non esistono più i manicomi, ma cliniche psichiatriche pubbliche e private, specializzate in alcuni disturbi, quali del comportamento alimentare, dipendenze patologiche, disturbi della personalità, borderline, dell'umore, psicosi e doppia diagnosi. Ma pur essendo ormai nel nuovo e moderno anno 2022, nel ventunesimo secolo, epoca di progresso e “civiltà”, sono ancora tante le “gabbie”, non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo.
S. F.
III A Class.
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