Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche
cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, e
in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se
stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate
nella mente.“ — Fëdor Dostoevskij
Sento la nebbia di Novembre che mi passa sulle braccia
scoperte, lasciandole leggermente bagnate. Dovrei rientrare a prendere il
cappotto ma non ne ho nessuna voglia, non ho intenzione di tornare in quella
casa che non mi sembra già più la mia.
Mi guardo le mani, sembrano le stesse di sempre, tremano leggermente, ma sono
loro: pallide e un po’ gelate alle estremità. Mi chiedo come sia potuto
succedere così in fretta, cosa sia accaduto in quegli istanti che mi paiono di
blackout. La visione di quello sguardo colpevole mi si ripresenta nel cervello
trapassandomi da parte a parte, mi inchioda alla veranda in legno su cui sono
seduta, che a questo punto della notte è ormai intrisa di umidità. Ripenso ai
momenti prima, la chiave nella toppa, mezzo giro e una leggera spinta, e poi il corridoio
insolitamente illuminato e la valigia aperta per terra, lui inginocchiato
accanto, che la riempiva con le sue cose: camicie, i mocassini beige, persino
il maglione che gli avevo regalato all’ultimo Natale. Sul tavolo, due biglietti
aerei, ma il mio nome non c’era in nessuno dei due. In compenso c’era quello
della sua collega bionda, Samantha, ‘’Sammy’’ la chiamava lui. E poi il suo sguardo
quegli occhi colpevoli ma non pentiti, quella faccia da bambino colto a fare
una malefatta. –Non avrebbe funzionato in ogni caso, lo sai vero?- ha cercato
di riprendersi con il suo solito carisma. Annichilita l’ho guardato riempire
ancora un po’ il trolley, ma poi mentre si sforzava di chiuderlo qualcosa mi
montava dentro: si portava via in quella valigia anche quattro anni della mia
vita e io stavo in silenzio, a guardarlo smontare il futuro che avevamo
costruito: non potevo permetterglielo.
Mi riscuoto e sfrego via il terriccio che mi è rimasto sotto
le unghie, pare che abbia scavato a mani nude. Un attimo dopo sono in bagno,
non mi ricordo nemmeno di essere rientrata. Mi lavo il viso con un po’ d’acqua
gelata, subito si sporca e colora il lavandino, ma dopo poco scorre via. Tutto
pulito. Non è successo nulla.
Continuo a ripetermelo in continuazione, finchè non inizio a convincermene davvero. Non lo vedevo da un po’, ci eravamo lasciati da qualche settimana, mi aveva detto di voler partire. Nei server risulta l’acquisto di un biglietto per l’estero, anzi due, a quanto pare io non c’entro nulla. O almeno così dicono i poliziotti. In ogni caso la vita scorre tranquilla, uniforme, il ricordo di quella notte viene pian piano soffocato da impegni che invento per tenermi occupata. A poco a poco è sempre più facile ignorare quel minuscolo puntino, quel senso di colpa persistente; gradualmente mi convinco: quella persona non ero io.
È di nuovo Novembre. Sono passati mesi da quella sera, anzi
addirittura un anno. Il mio pensiero si sofferma sul vestito che sto
indossando, è proprio lui. Ricordo di aver grattato via affannosamente le
macchie rossastre che si erano rapprese sul davanti, volevo gettarlo. Poi la
razionalità ha prevalso, dopo un lavaggio era come nuovo. Pulito. Mi ci sono
voluti altri due o tre lavaggi prima di poterlo toccare, ma ora ce l’ho
addosso, e la cosa non mi scuote nemmeno un po’.
Un’ora dopo sono alla festa, la musica è alta e tutti
sembrano di buon umore. Lascio scorrere lo sguardo sulle luci che cambiano in
continuazione, sulla gente che riempie la sala, sul luccichio delle
decorazioni, tanto numerose da farmi girare la testa. Mi sento un po’
annebbiata, sarà per il caldo o per la ressa, inizio a vedere cose che non ci
sono, non ci possono essere. Come Samantha. E invece è lí, con una coda di
capelli biondi che sbuca dalla folla, ride con un gruppo e i suoi orecchini si
muovono insieme all’incresparsi del viso. Pare sentire il mio sguardo che la
osserva, perché si gira a disagio , cerca di spiegarsi l’origine di quella
sensazione. Appena mi vede sembra immobilizzarsi, il sorriso le scivola via
dalla faccia. Non so perché ma sento di doverle parlare: non appena mi vede
avvicinarsi si guarda intorno febbrile, sembra un animale in trappola. Faccio
ancora qualche altro passo, ma la vedo muoversi velocemente tra la folla, in
direzione dell’uscita.
Allora torno dai miei amici, cerco di dimenticarmi della sua
esistenza e la cosa mi riesce piuttosto bene: fra le luci, le battute e la musica
assordante più di un’ora scorre via. Mi sento un po’stanca, sono quasi le due
ormai e sono in piedi da troppe ore. Mi decido a lasciare i miei amici, che non
paiono aver nessuna intenzione di ritirarsi, dopotutto la festa è nel pieno
svolgimento e la sala ancora gremita.
Appena uscita mi investe un gelo insolito persino per novembre, c’è una nebbia fittissima a malapena rischiarata dalla luce giallastra dei lampioni, che illuminano il parcheggio deserto. Accendo il mio Defender e metto in moto: non riesco quasi a vedere niente. Metto la retromarcia e sento un tonfo, pare che abbia colpito uno di quei vasi di cemento che costellano il perimetro del locale. Sbuffo e finalmente esco sulla strada, che è quasi totalmente al buio; spettrale la definirei.
Il mattino dopo sembra di essere in un altro mondo: la
nebbia della sera prima stata lavata via
dalla luce del sole, l’aria è fredda e secca, non c’è traccia dell’umidità
della sera prima. Con una tazza di caffè in mano mi siedo al tavolo, con
l’altra accendo il notiziario locale, per farmi compagnia.
-…la ragazza è stata trovata morta ieri sera verso le tre e
trenta nel parcheggio del Destiny, noto locale notturno della zona. Un amico
della vittima, identificata come Samantha Collins dalle autorità, racconta:
‘’era uscita da sola, sembrava molto nervosa: aveva detto che usciva a prendere
un po’ d’aria, non aveva voluto che nessuno la accompagnasse’’. Secondo i primi
accertamenti la ragazza pare essere stata investita, resta da capire se si tratti di omicidio
colposo oppure…-
Stacco la televisione. In un attimo lo schermo diventa nero
e la stanza torna silenziosa. Mi alzo di scatto e apro la finestra, come a far
uscire tutte le parole che ho sentito. Poi, come un automa ritorno al mio
caffè, fisso il mio riflesso e lo vedo stranamente calmo: non è successo nulla. Faccio un respiro profondo. Non è colpa mia.
Sorrido. Quella persona non ero io.
E. B., IIIB Liceo Classico
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