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E se noi lavorassimo e faticassimo ogni giorno per un bene comune superiore? E se ogni nostro sforzo fosse essenziale per aiutare noi stessi e, di conseguenza, gli altri? Forse le fatiche della vita sono fondamentali per la catena del bene sociale.
Wilhelm Leibniz, filosofo tedesco, nel 1714 scrive la “monadologia”, testo dove espone la sua teoria delle “monadi” (dal greco monos, cioè “uno”, “singolo”): esse costituiscono tutta la natura, sono “centri di vita psichica dotate di capacità percettive”, cioè possiedono la capacità di percepire la realtà circostante e, inoltre, sono indivisibili, indistruttibili e fatte di spirito.
Secondo punto. Tutti noi siamo fatti di monadi, perciò tutti noi abbiamo una percezione limitata della realtà, dato che l’unica monade che può vedere quest'ultima nella sua pienezza è Dio.
Seguendo la teoria presentata da Leibniz, tutti quanti noi non potremmo mai vedere i fatti in maniera globale, ma solo parziale; perciò è come se le nostre vite fossero un passaggio nella catena di montaggio dell’universo.
Come nelle catene di montaggio delle fabbriche di auto, gli operai svolgono una mansione isolata e non sapranno o vedranno mai il prodotto su cui stanno lavorando; nello stesso modo noi facciamo parte di un sistema più grande di noi e l’unica entità che può vederne la totalità è Dio (secondo Leibniz) oppure qualunque cosa ci sia lassù.
Quindi come possiamo sapere se le difficoltà che affrontiamo ogni giorno non facciano parte di un bene superiore e comune a tutti gli esseri? E se avessimo la possibilità di vedere la completezza della realtà e vedessimo che il nostro lavoro produce un bene che è utile alla società e, dato che ne siamo parte, anche a noi?
Concludendo, vorrei far riflettere sul fatto che molte volte le persone si abbattono e si demoralizzano per il duro lavoro che svolgono; mentre bisogna dare il giusto riconoscimento al nostro contributo alla società e al nostro piccolo, ma importante, ruolo.
N. D.
IV B ling
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