La mafia è un’organizzazione criminale nata in Sicilia nei primi decenni dell'ottocento, favorita dalla povertà che nasceva nelle campagne e dalla lontananza delle istituzioni, ma presto diffusasi in tutto il mondo, suddivisa in più associazioni dedite ad attività criminali e al controllo di attività economiche illecite di vario tipo, tra cui spiccano il traffico di stupefacenti, il commercio clandestino di armi e rifiuti, il riciclaggio di denaro. L’organizzazione, nota comunemente come Cosa Nostra, è retta dalla legge dell’omertà e della segretezza dei suoi affiliati. Si tratta di un’organizzazione criminosa che ha mantenuto nel tempo le sue finalità delittuose adottando la forza e l’intimidazione per punire i trasgressori e spaventare chi si oppone ai suoi disegni criminosi!
La mafia è strutturata «per famiglie» (dette anche «cosche» o «clan») autonome tra loro ma con caratteristiche e obiettivi comuni, ciascuna guidata da uno o più capi: sembra un mostro sfuggente e dalle mille teste! Lo Stato italiano ha ottenuto i successi più importanti fronteggiando il temibile «clan dei corleonesi», un gruppo di mafiosi provenienti dalla cittadina di Corleone, in provincia di Palermo. Nel corso degli anni sono stati catturati molti dei «boss» o capi di questa famiglia: nel 1974 è finito in manette Luciano Liggio, l’imprendibile capo della mafia siciliana; a distanza di quasi vent’anni anche Salvatore «Totò» Riina è finito in carcere, così come, nel 2006, il suo successore, Bernardo Provenzano, dopo una latitanza durata oltre quarant’anni. Nonostante ciò, la mafia, è sempre rimasta al comando di alcuni settori dell’economia italiana, così come di molti territori del nostro paese, continuando a mietere vittime!
Nella lunga lotta dello Stato contro la mafia si è rivelato fondamentale il coraggio di molte persone come il poliziotto Boris Giuliano, il giornalista e conduttore radiofonico Giuseppe Impastato, l’insegnante e parroco del quartiere Brancaccio di Palermo Don Giuseppe Puglisi, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uomini che avevano capito la vera natura della mafia. I due magistrati erano professionisti straordinari, amici nella vita, colleghi inseparabili nel lavoro, uniti da un compito e da un ideale portato avanti con coraggio e senso dello Stato: liberare la società civile da quella mafia che li ucciderà a soli due mesi di distanza.
Giovanni Falcone muore il 23 maggio 1992 sulla macchina a bordo della quale viaggiava, fatta saltare in aria con 500 chili di tritolo mentre percorreva la strada tra l’aeroporto che oggi porta il suo nome e Palermo, all’altezza dello svincolo per la cittadina di Capaci. Quel giorno, poche ore dopo la strage arrivò l’amico e collega Paolo Borsellino, stravolto e consapevole che la sua fine sarebbe arrivata molto presto. Con tenacia e coraggio continuò a lavorare, con più forza e dedizione fino al 19 luglio di quello stesso anno, 1992. Quel giorno, una fiat 126 carica di tritolo venne fatta esplodere al passaggio del giudice in via d’Amelio a Palermo, dove viveva la madre di Borsellino uccidendo lui e cinque agenti della sua scorta. Borsellino sapeva che avrebbe fatto la stessa fine del suo collega, a cui era legato da una profonda amicizia. “Ora tocca a me” diceva, mentre nelle ultime interviste si definiva “Un condannato a morte”. Anche alla moglie Agnese aveva confidato: «mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri». Cinquantasette giorni separano i due attentati che hanno cambiato la storia del nostro paese.
Tutti i nomi citati, sono solo alcuni degli eroi di questa lunga guerra che ha visto cadere persone straordinarie, professionisti noti ma anche tanta gente comune, tutte vittime coraggiose di questo conflitto a cui non siamo ancora riusciti, purtroppo, a porre fine! Come, dunque, possiamo vincere la lotta contro le organizzazioni criminali? Cosa può fare ciascuno di noi? La risposta credo sia racchiusa in due pilastri fondamentali: Scuola e Lavoro! È proprio la mancanza di scuola e lavoro a trasformare i ragazzi in facili prede per i boss locali: ai loro occhi l’organizzazione mafiosa è capace di rassicurare, offrendo denaro e certezze. Il primo passo da fare è combattere la mentalità mafiosa costruita sul «non vedo, non sento, non parlo», su quell’omertà e su quel silenzio che si scontrano con l’onestà e con la giustizia. Il silenzio non è mai la strada giusta: parlare significa capire e agire, nel nostro piccolo, per cambiare le cose. Il cambiamento ha bisogno di tutti noi! Essere capaci di scegliere, mostrarsi critici e responsabili, studiare e agire, cercando sempre di ragionare con la propria testa e andare a fondo ai problemi, assumersi la responsabilità delle proprie decisioni ed essere coerenti con le scelte che facciamo: sono queste le armi più forti. Se le facciamo nostre, fin da subito, il «mostro» può essere battuto. Per concludere, cito alcune frasi, straordinarie, pronunciate da Paolo Borsellino a cui segue il
video:
“…Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene. La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità…”.
A. D.
III A Com.
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