Misurare le parole e il
politically correct
Di questi tempi non si può dire
più nulla, la satira languisce sotto il peso della cancel culture mentre
l’ironia, soffocata da una nube di perbenismo getta gli ultimi intossicati
sospiri, accettando la fine dei suoi giorni. Un quadretto piuttosto patetico
(nel senso di ricco di patos, cioè sofferenza e che dovrebbe suscitare qualche
lacrimuccia nei puri di cuore).
La cancel culture è il proprio
quel fenomeno consistente nel cercare di eliminare dalla pubblicità, media, ecc
forme di discriminazione, razzismo, sessismo, omofobia e via discorrendo,
insomma il tentativo di introdurre il politicamente corretto nella vita
quotidiana: un modo come un altro per formare le coscienze a un mondo più
inclusivo che propugna il rispetto, l’inclusività e eccetera, eccetera.
I suoi risvolti conoscono antri oscuri dove si
dibatte sulla lingua e le sue modificazioni, vette altissime da cui pendono
gonfaloni con rappresentati individui di tutte le forme e i colori, in un
vortice di sgargianti arcobaleni e cori angelici atei: nell’occhio del ciclone
però ci sono loro, i “NON SI PUO’ PIU’ DIRE NULLA”, stabili e con occhiali
protettivi, come in assetto da combattimento cercano di liberare la realtà da
questo morbo, perché si possa liberamente a esprimere la propria comicità.
Strano però che nonostante la
cancel culture o cultura della cancellazione (italianizziamolo così difendiamo
la nostra identità culturale, anzi chiamiamola Cc, almeno non si fa torto agli
anglo-qualcosa di tutto il mondo) , non sia riuscita mettere a tacere questi
coraggiosi paladini della libertà d’espressione, che anzi tra la solidarietà
popolare hanno libero accesso a tutti i canali di comunicazione possibili: dove
possono far sentire la propria voce, senza neanche rischiare poi tanto,
considerato che ora come ora la lista dei caduti rimane immacolata.
Nella vita di tutti i giorni è
possibile notare gli effetti della Cc, serpeggia, ammanta gli animi pronta a
modellare, correggere, spuntare, tagliare e mutilare ogni parola che esce dalle
labbra del popolo oppresso, così ingenuamente vittime di una guerra
intellettuale senza quartiere.
Si sente la mancanza di quelle
belle discussioni di una volta:”un negro mi ha chiesto di nuovo l’elemosina”,
“ahahaha, quel frocio di Antonio” , “Na zoccola questa, sicuro, guarda che
faccia”; sentenze ardue quanto antiche, si crede che ne esista qualche
frammento solo nell’antica biblioteca del Trinity College, disponibile allo
studio, sotto licenza governativa, per tempo limitato. Sfortunatamente sotto il
regime della Cc, solo i più anziani le ricordano, così esotiche e sconosciute,
sussurrate in locali dal sapore di carboneria, un patrimonio perduto.
Una situazione senza via
d’uscita, grazie a Dio, (si interpreti a seconda della propria posizione
sull’argomento sia che si sia teisti, deisti, agnostici o atei); giornalisti,
scrittori e intellettuali si battono per ignare meccaniche genti, usando ogni
mezzo a propria disposizione perché si sappia che:” Non si può dire più nulla”.
Proprio loro, che si vantano maestri delle parole cadono nelle trappole più
comuni della Cc, e direttamente a loro mi rivolgo:” un meccanico che si
colpisce ripetutamente con una chiave inglese, non lo mette su tutti gli
schermi e men che meno se ne lamenta sui giornali”.
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