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MILANO DA BERE

 

MILANO DA BERE

 https://pixabay.com/it/photos/cocktail-spritz-alcol-drink-599531/ 

    Seduto dentro il bar Biagio mischia le carte. La luce fioca della lampadina alle sue spalle illumina appena le picche e i quadri, ma lui continua a darle le spalle, incurante. Voltarsi significherebbe vedere le quattro file di tavoli solitari, con le sedie a due a due che li circondano, tutte desolatamente vuote. Le aveva volute Lina, la sua Evelina, quelle sedie; anni e anni prima, quando l’attività era appena stata avviata. Quanto aveva insistito per quelle sedie:-Non vorrai mica che si vengano a sedere su delle sedie di plastica!-,gli aveva ripetuto infinite volte, sussurrando quella parola come si potrebbe fare con il nome di una creatura mostruosa, che disgusta e terrorizza allo stesso tempo. In fondo quel bar era stato il sogno di entrambi, realizzato con fatica e i risparmi di una vita, il loro piccolo pezzo di mondo che si apriva alle persone, in via Armorari numero 7. Certo, non uno dei bar della Galleria, ma a loro era sempre andato bene così. Per anni era stato un luogo di ritrovo frequentato, persino famoso nella zona, che si adeguava alla Milano da bere ogni giorno dalle sei del pomeriggio in poi, ma prosperava soprattutto  grazie ai caffè che prendevano i lavoratori del mattino. Un luogo di passaggio, vicino alla fermata del tram 27, che si popolava soprattutto nei lunghi giorni di pioggia, in cui da un caffè preso per scaldarsi nascevano incontri, discussioni politiche oppure lunghissimi tornei di briscola. Ma ora tutto questo era finito: quello che non aveva fatto la crisi del 2008, era infine stato compiuto dal 2020, appena un anno dopo che Lina era scomparsa.  I lavori di manutenzione delle tubature ancora da finire di pagare, la clientela che era andata sempre più diradandosi e infine la paura dei suoi figli, che vedevano nel contatto con gli eventuali avventori un pericoloso rischio di contagio: tutto aveva contribuito a rendere inevitabile ciò che lui aveva sempre voluto rimandare nonostante l’età ormai avanzata. Tutto d’un tratto Biagio si era sentito stanco, quella stanchezza di cui non ci si rende conto, che si percepisce la sera, quando finalmente ci si siede dopo aver camminato tutto il giorno: così, aveva accettato senza particolare resistenza di chiudere quel bar che aveva fatto parte per oltre quarant’anni della sua vita. Ma ora alle sei di sera di  quella giornata piovosa, seduto da solo in quella stanza silenziosa, Biagio avrebbe dato tutto per poter riaprire anche solo un altro giorno. Stava lì nel bar chiuso, a mischiare e rimischiare le carte, come se quel gioco solitario avesse potuto far rivivere gli anni passati fra quelle mura, che in poco tempo - questione di settimane gli avevano detto - sarebbero state vendute a un acquirente interessato. Ma quel bar era suo, suo e di tutti quelli che vi avevano fatto colazione nelle mattine di scuola, di quelli che avevano comprato i tramezzini fatti da Lina per il pranzo, di tutti quelli che era venuti negli anni per assaggiare il suo spritz, fatto con la ricetta che custodiva gelosamente da sempre. Biagio sapeva che avevano condiviso molto più di qualche consumazione, e lasciare questo posto ad un estraneo lo riempiva di amarezza. Un bussare alla finestra. Dei capelli scompigliati e paio di occhi vivaci che chiedevano a gran voce: -Si può? Piove a dirotto!- Un attimo dopo, uno sconosciuto, completamente zuppo di pioggia, era seduto di fronte al lui al tavolino. - Cosa vuoi bere? Se aspetti ti faccio qualcosa di caldo - disse Biagio ancora una volta, mentre frugava fra i cassetti di quel bar ormai chiuso, alla ricerca di una bustina di thé superstite. Lo sconosciuto guardò l’orologio appeso dietro il bancone, segnava le sei. - Ma no, facciamo che bere due spritz- disse con aria sorniona, mentre il solitario già diventava una briscola a due.

Elena Boggetti, IIIB Liceo Classico

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