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Tarchetti: il poeta del “Non omnis moriar”

In data sabato 19 novembre, Deborah Maurini, ex studentessa del Liceo Balbo ed ora laureata in Lettere presso l’Università di Torino, con la collaborazione della docente di Italiano Silvia Oppezzo, ha tenuto una Lectio Magistralis insieme alla 5A Linguistico su Iginio Ugo Tarchetti.



Considerato uno dei massimi esponenti della Scapigliatura, Tarchetti nacque il 21 giugno 1839 a San Salvatore Monferrato, cittadina gretta, chiusa e pertanto incapace di accettare il profilo così eccentrico di cui lo scrittore era dotato. 

Animo forse un po’ troppo sensibile, era reputato diverso dalla società: ne prenderà quindi le distanze per appassionarsi al genere fantasy, ancora assente in Italia ma diffuso nelle letterature straniere del Romanticismo.

Dopo l’Unità d'Italia Tarchetti si sentiva tradito, e le innumerevoli promesse non mantenute gli fecero trovare rifugio nella letteratura fantastica che avrà il merito di introdurre in Italia. Realizzò alcune rivisitazioni di opere delle letterature straniere, ma scrisse anche opere originali pubblicate tra i 25 e 29 anni. 

Incontrò molte difficoltà nella sua vita fino al punto di sentirsi non solo incompreso ma anche diverso e in completa balia di amore e affetti non appagati.

Colmerà questa mancanza ricongiungendosi con la morte: trascorreva la maggior parte del tempo nei cimiteri, ossessionato dal macabro, e per questa sua strana abitudine verrà etichettato dalla società come misantropo. 

Rifiutò di arruolarsi nell’esercito ma svolse un anno di servizio, che gli fornì l’opportunità di incontrare l’unico amore della sua vita: Angelina, sorella del suo superiore, dalla quale fu costretto a separarsi a causa dello scandalo che ne scaturì.

Rifiutando il servizio militare dopo quel solo anno di servizio, si stabilì a Milano, dove frequentò con particolare assiduità il cimitero monumentale, luogo a cui sentiva di appartenere: qui le targhette dei nomi sulle lapidi creavano una connessione con le persone defunte e con le loro storie che andava ben oltre il mondo terreno. Da qui trarrà conforto per i suoi dolori e spunti per le sue opere letterarie. 

 

Fosca, uno dei suoi romanzi più celebri, rappresentazione dell’incarnazione dell’amore come concepito dal poeta, dimostra perfettamente l’ossessione che egli nutriva per l’orrido. L’autore offre due immagini per raffigurare questo sentimento: la donna angelo e la donna demone. Tramite l’utilizzo di queste due figure, riprese da tante opere letterarie, Tarchetti vuole spiegare la sua personale visione dell’amore, che può realizzarsi solamente dopo la morte e non nella vita terrena. 

La prima ricorda al poeta ciò che lui ricerca nell’amore: l’anima, la dolcezza assoluta. Sarebbe questa l’unica possibilità, per l’innamorato, di raggiungere il cielo, possibilità che si realizza solamente nel periodo di malattia; ma in tal modo l’innamoramento va perduto insieme all’oggetto del desiderio. 

Che senso ha vivere una vita senza amore, senza coronare una volta per tutte il sentimento amoroso? La bellezza di questa donna pallida e mortuaria è definita come un fiore sbocciato all’ombra. La donna demone invece trascina l’amato nella tomba, attira l’uomo e lo ammalia, è una fonte di desiderio ma non completamente negativa. Alla base di questa concezione dell'amore si può trovare un’esperienza autobiografica: l’incontro con Angelina, conosciuta durante l’anno di servizio militare, l’unico amore vero della sua vita, sorella del suo superiore, dalla quale, come detto, fu costretto a separarsi.

 

Divenuto famoso grazie al romanzo Fosca, Tarchetti scrisse anche poesie, pubblicate appena dopo la sua morte; alcune di esse accennavano al suo lato umano di antimilitarista. 

Malato di tisi, morirà in età precoce a causa di una febbre tifoide a casa dell’amico Salvatore Farina, il 25 marzo 1869.

C. L.

5A Linguistico

 

 

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