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Blonde: quando la sofferenza diventa oggetto di intrattenimento

Ultimamente abbiamo visto un aumento significativo della produzione di film biografici su personaggi famosi, come ad esempio Elvis, l'ultimo lavoro del regista Baz Luhrmann. Nel settembre di quest'anno, Netflix ha fatto uscire invece un film di Andrew Dominik su Marilyn Monroe, intitolato Blonde, che è stato fortemente acclamato dalla critica. In realtà, quella che dovrebbe essere la storia della celebre attrice statunitense sembra più una fantasia contorta del regista, che la vede solo come un oggetto, o meglio un simbolo, che rappresenta, sotto una prospettiva del tutto misogina, un'immagine stereotipata della donna.


Non a caso la protagonista è una ragazza che, soprattutto all’epoca, era considerata uno standard a cui molte aspiravano, ed era rappresentata sullo schermo come la "bionda stupida" e la seduttrice. In questa pellicola, il dolore di Marilyn non è usato per farci empatizzare con lei, bensì per vittimizzare il suo personaggio e renderlo un ideale della natura femminile osservata sotto una lente patriarcale, attraverso la quale la donna appare come una creatura destinata a soffrire. Un’altra osservazione importante da fare è relativa al fatto che il trauma della protagonista è a tratti esagerato, e che molti degli eventi narrati non sono neanche reali.

Tornando al discorso iniziale, Blonde non è il primo film basato sulla storia di una celebrità, al contrario, è solo uno dei numerosi esempi di biografie trasformate in fiction. Ma perché ci attira così tanto questo genere di film? Innanzitutto, molte persone vogliono andare a fondo e sapere di più sulle vite dei loro personaggi famosi preferiti. Un altro motivo può essere il sentimento di nostalgia e il bisogno di rivisitare storie vecchie, magari anche di tempi che non abbiamo vissuto in prima persona. Oppure, come nel caso di Blonde, alcuni desiderano soltanto un po’ di intrattenimento.

T. G.

VB Ginnasio

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