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Le donne all'interno della mafia


Il termine "mafia" viene utilizzato per indicare un fenomeno tipicamente siciliano, che si è sviluppato poi anche nel Nord Italia, in Europa e successivamente nel resto del mondo. È un’associazione criminale che agisce secondo una precisa mentalità e con un codice comportamentale ben definito. Un clan si può definire di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte commettono atti intimidatori verso le vittime, ne sfruttano la condizione di assoggettamento, paura, omertà e commettono efferati delitti per raggiungere precisi scopi. Ciò che interessa ai mafiosi è il potere economico, che riescono ad ottenere grazie al traffico di droga, di armi, al gioco d’azzardo, all’abusivismo edilizio e all'estorsione di denaro. L’ambiente mafioso è prettamente maschilista: le donne in esso hanno per lo più ricoperto un ruolo secondario, ovvero si sono occupate dell'educazione dei figli e delle figlie. Hanno svolto una funzione di supporto agli "uomini d'onore" e garantivano la loro stimata reputazione. Le donne dei "boss" sono sempre state dedite alla trasmissione del codice culturale mafioso e dei "disvalori" in esso contenuti; questo compito è stato assolto soprattutto dalle madri, figure centrali nel processo educativo dei figli. Un' altra funzione che le donne svolgono in questo ambito è l’incitamento alla vendetta e in particolare nel mantenere vivida la "memoria della vendetta”, ovvero non lasciare impuniti gli assassini di un proprio caro e perpetuare i "regolamenti di conti" tra faide. Tuttavia, negli ultimi anni, le donne hanno iniziato un percorso di pseudo-emancipazione all'interno delle cosche mafiose. Ad esse, sempre più spesso, viene affidato un ruolo di potere, seppur delegato e temporaneo per mantenere intatto il sistema patriarcale, durante l'assenza del capo. Le donne nel mondo mafioso sono ancora vittime della violenza, fisica e psicologica, degli uomini della propria famiglia, da cui dipendono anche economicamente. Molte di loro hanno perso la vita perché si sono ribellate alla mafia. Nota è la storia di Rosalia Pipitone, morta a ventiquattro anni; venne uccisa il 23 settembre 1983 perché suo padre, boss mafioso di Palermo, non accettava il fatto che lei volesse separarsi dal marito. Il padre organizzò una finta rapina durante la quale fece uccidere sua figlia. Successivamente alla morte di Rosalia il padre dichiarò: «Meglio morta che separata». Un’altra donna vittima della mafia è Gelsomina Verde, la cui morte viene ricordata come uno dei più spietati delitti della camorra. Mina, così chiamata dagli amici, la sera del 21 novembre 2004, fu attirata in una trappola da un suo "amico": Pietro Esposito. Pietro, insieme a dei suoi collaboratori, cercò di estorcere delle informazioni dalla ragazza; Mina non disse nulla, neanche dopo ore di torture e sevizie; fu uccisa con sei colpi di pistola e il suo corpo venne dato alle fiamme.

C.M., 4A COM.

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