Chiunque abbia mai visto “Il Sacrificio del Cervo Sacro” ha provato di certo un’emozione: ansia o quantomeno disagio. Il film è estremamente ansiogeno e inquietante anche nei momenti più tranquilli, come nella panoramica della normalissima casa di un normalissimo quartiere dove abita una normalissima famiglia composta dai coniugi Murphy e i loro due figli Bob e Kim.
Ciò è reso dalla recitazione fredda, controllata e magnetica che il regista impone ai propri interpreti nei primi 50 minuti accompagnata da battute e dialoghi che spiazzano lo spettatore, dalla colonna sonora e dalla quasi totale assenza di comparse, che dà un aspetto irreale alla situazione.
Il film è una rappresentazione metaforica del viaggio che Steven Murphy, uno stimato cardiochirurgo, compie verso l’accettazione della colpa e la convivenza con essa. Infatti Steven è perseguitato da Martin, il figlio di un suo ex paziente morto durante un’operazione. All’inizio tratterà il ragazzo quasi come un figlio portandogli regali e facendogli frequentare la sua famiglia per tentare così di placarne l’ira, ma Martin (la personificazione della colpa) lo costringerà ad ammettere di aver fatto l’operazione da ubriaco e – proprio come Artemide con Agamennone nel mito di Ifigenia – lo metterà di fronte ad una scelta: sacrificare uno dei componenti della sua famiglia, che rappresentano un aspetto della sua vita come il lavoro da chirurgo, o perderli tutti quanti, progressivamente logorati da inspiegabili malattie. Il protagonista, incerto su chi scegliere, si ritrova ad allestire una mostruosa roulette russa nel salotto di casa.
Il film termina con la famiglia priva di un membro seduta al tavolo di un bar in cui entra Martin, che li osserva felice: Steven non si è liberato del giovane – non può farlo – ma ha stipulato una sorta di tregua con lui.
O. B.
1B Liceo Classico
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