Immaginate di essere un'adolescente normale, che ama le cose da adolescente normale, ascoltare la musica, uscire con gli amici, cantare senza curarsi delle parole o dell'intonazione. Immaginate di fare quello che fanno le 16enni a quest'età, sperimentare con il proprio stile per capire chi tu sia, tingersi i capelli e provare combinazioni di eyeliner deciso, t-shirt oversize e pantaloni cargo, decine di braccialetti e collane.
Immaginate un giorno di uscire di casa un giorno, per partecipare ad una protesta. Immaginate di sparire per dieci giorni, e immaginate di venire ritrovata morta in un centro di detenzione, con il naso rotto e ferite alla testa, con segni di stupro e di tortura.
Perché se ti chiami Nika Shakarami e vivi nella cosiddetta Repubblica Islamica Iraniana, non sei un'adolescente normale, e ogni tua semplice scelta può determinare la tua vita o morte.
Nika è stata portata via dal suo luogo di sepoltura il giorno del suo diciassettesimo compleanno, perché la sua tomba era diventata un luogo di pellegrinaggio laico per i manifestanti. Le è stata negata anche la dignità di una lapide, di un fiore, di un saluto.
Se vivi in Iran, essere una persona normale non è una scelta sul tavolo. Ogni tua azione diventa politica, determina se stai dalla parte del regime o dei manifestanti, della libertà o del fanatismo.
481 persone sono morte da settembre a oggi nelle proteste, e più di 100 sono in attesa dell'esecuzione della condanna a morte. I loro processi sono sommari, senza avvocato difensore, dopo settimane o mesi di prigionia in cui sono state estorte loro confessioni di crimini che non hanno compiuto tramite torture e minacce. Le procedure penali sono un'arma, non un'applicazione della legge. La fretta con cui il governo iraniano, con crudeltà spietata, sta approvando condanne a morte su condanne a morte, non è altro che una prova della sua fragilità.
La Repubblica Islamica ha fin troppi metodi per coprire il sangue che sta versando. Il procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri aveva annunciato l'abolizione della polizia morale, ritornata subito sotto un altro nome, appena prima della prima tornata di esecuzioni. I social usati per la campagna rivoluzionaria, ossia Facebook, Instagram e Twitter, sono state bloccati, la connessione al mondo esterno tagliata, le persone rilasciate su cauzione spesso eliminano i propri post e sulle storie appare un messaggio, "Va tutto bene, è stato un malinteso". Poi queste persone vengono prese e impiccate. E c'è il poi il problema della connivenza che nasce dal capitalismo cieco: molti social media sono moderati non da commissioni interne, ma da società straniere, di solito est asiatiche, che vengono facilmente corrotte e infiltrate dal governo iraniano, senza che i grandi della moderna comunicazione, Zuckerberg, Elon Musk, Jeff Bezos, questi presunti filantropi in carica del mondo, facciano niente per impedirlo. Così gli hashtag sulla rivoluzione iraniana vengono seppelliti a favore di gattini e celebrity drama, i profili bannati, i contenuti oscurati. E le condanne a morte eseguite, ed eseguite, ed eseguite.
Questo non è solo un elogio ai martiri rivoluzionari, né una condanna sterile di un governo palesemente bestiale, né un riempitivo per una rubrica da leggere e dimenticare. È un richiamo all'azione, un grido scandalizzato perché al telegiornale nessuno ne parla e sui giornali le notizie sono relegate a due righe a fondo pagina, perché i governi azzardano critiche che non portano a nulla e l'ONU spara grandi paroloni ma nulla di più. Se non ci smuove l'empatia, il senso di giustizia, l'etica, la morale, almeno che lo faccia il nostro bisogno di sicurezza egoistica, la consapevolezza che la questione della libertà in Iran non riguarda solo l'Iran. L'ayatollah Khamenei ha rivolto parole terribili alla rivista satirica francese Charlie Hebdo, che in questi giorni sta pubblicando le vignette laceranti di attivisti iraniani. "Ve ne pentirete", ha scritto, e con queste parole si conferma la caricatura intenta a gridare all'eresia immerso nel sangue dei morti impiccati e delle donne lapidate. Ciò che noi occidentali non riusciamo a comprendere è che nessuno di noi ha il privilegio di essere neutrale: anche tale scelta riflette la politica del mantenimento dello status quo, e della volontaria cecità. Questo, ripeto, è una preghiera per la libertà, perché dobbiamo essere la voce di chi non ha una voce e usare il nostro privilegio in modo costruttivo.
Sayed Mohammad Hosseini, 39, impiccato il 7 gennaio. Arrestato mentre visitava la tomba dei suoi genitori.
Mohammad Mehdi Karami, 22, impiccato il 7 gennaio. Ha vinto più di una dozzina di medaglie in competizioni nazionali di karate.
Majid Reza Rahnavard, 23, impiccato il 12 dicembre. Lavorava come commesso in un negozio di abbigliamento femminile. Amava lo sport e praticava wrestling e ginnastica artistica.
Mohsen Shekari, 23, impiccato l'8 dicembre. Era un barista in un quartiere popolare. Amava indossare larghi jeans cargo e bandane legate attorno al polso.
Hananaeh Kia, 23, uccisa il 21 novembre mentre tornava a casa dal dentista. Stava per sposarsi e faceva la parrucchiera.
Sarina Esmaelzadeh, 16, uccisa il 23 settembre dopo aver registrato un video, dopo gli esami scolastici, in cui diceva "che bello essere liberi".
Parmis Hamnava, 14, picchiata a morte di fronte ai compagni di scuola per aver strappato una foto dell'ayatollah.
Asra Panahi, 16, picchiata a morte per essersi rifiutata di cantare un inno pro-regime.
Queste sono solo alcune delle persone che sono morte, che stiamo lasciando morire non ricordandole, che abbiamo fatto morire non spargendo voce per impedire la loro morte. Ognuno di loro aveva un nome e un cognome, dei sogni, degli amici, degli hobby, un lavoro, erano persone e non icone o numeri, persone che hanno preso la conscia decisione di non stare in casa al sicuro. Quello che voglio ricordare di loro, e di molti altri, era la loro gioia di vivere, perché non è giusto che siano morti, ma è ancora meno giusto che siano conosciuti solo per essere parte di quel 481. Dite i loro nomi. Dite, soprattutto, i nomi dei vivi, in modo che lo restino.
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Emma Idra, IIB Liceo Classico
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