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Il Buon Governo


 


404 a.C., Atene. 

È appena terminata la guerra del Peloponneso, la democrazia ateniese è caduta sotto Sparta e in questa città dell’Attica viene istituito un nuovo governo formato da Trenta Tiranni.

Platone durante questi anni è un giovane ragazzo, illuso dal pensiero di poter entrare in politica, pensiero che verrà alimentato dalle sicurezze che il giovane ripone in questo nuovo governo: alcuni di questi politici infatti sono suoi compagni o familiari ed egli confida nel cambiamento che verrà portato alla città, “riportandola da uno stile di vita ingiusto ad un modo giusto”.

Impiegherà poco però a rendersi conto che al potere ci sono uomini corrotti, che catturano e uccidono gli avversari politici, che non hanno davvero a cuore il bene della città.

Platone capirà di aver riposto le sue speranze in un governo deplorevole: inizialmente si sentirà tradito e deluso, ma la caduta dei Trenta e la nuova instaurazione della democrazia porterà una nuova speranza di miglioramento, che verrà distrutta non appena Socrate verrà condannato.

In seguito quindi ai numerosi fallimenti dei governi, Platone si renderà conto che sarebbe inutile tentare di portare dei reali cambiamenti attraverso l’attività politica, ma che l’unica soluzione per creare dei cittadini giusti e responsabili è attraverso la filosofia.


Secondo Platone il buon governo dipende dalla conoscenza e dalla rettitudine dei governanti: l’esistenza e il benessere della società dipendono dalla giustizia. Lo Stato ideale per Platone è un’aristocrazia del sapere e della ragione; il governo deve essere in mano ai migliori, ai più sapienti. 

Platone è stato accusato da filosofi e pensatori successivi di essere un reazionario, il sostenitore di un potere assoluto nelle mani di una minoranza depositaria di un sapere assoluto. 

Karl Popper in particolare considerò Platone uno dei principali nemici della società liberale.


Oggi una visione della politica elitaria come quella di Platone ci sembrerebbe anacronistica e classista; al contrario noi abbiamo l’ossessione che chiunque si possa occupare di politica, che uno valga uno, che bastino passione, buona fede ed onestà. C’è molta diffidenza verso la politica “di mestiere” e una fiducia totale in chi fa della propria inesperienza una bandiera, come se la competenza fosse una colpa.


Trovo che il rischio sia tuttavia altissimo in entrambi i casi: una élite lontana dalle necessità della gente, che rischi di rappresentare solo una parte della popolazione, rischierebbe davvero di riprodurre il modello platonico di una società divisa in caste. 


Ma ritengo anche che la mancanza di esperienza non sia necessariamente sinonimo di “pulizia”, ma spesso sia solo…mancanza di esperienza. 


Chi si occupa di politica ha il dovere di prepararsi, studiare le necessità della società, conoscere il territorio e i bisogni delle persone, e soprattutto ascoltare. Ma un ascolto consapevole e attento deve partire sempre da una base di conoscenza di ciò di cui si tratta e delle eventuali dinamiche da applicare per risolvere i problemi.


In chi si occupa di qualunque attività richiediamo capacità e competenze, possibilmente dimostrabili, perché non dovremmo richiedere lo stesso a chi ci rappresenta e decide del nostro futuro? È classista pensare che chi deve interagire con rappresentanti politici di altri Stati conosca l’inglese? È elitario pretendere che chi deve comunicare in modo chiaro quali decisioni ha preso per il nostro Paese e perché lo ha fatto, lo faccia almeno con proprietà di linguaggio, oltre che ovviamente con cognizione di causa?


La politica nasce da una passione, è una missione che deve diventare competenza, conoscenza e capacità attraverso lo studio, l’applicazione e l’esperienza, esattamente come l’insegnamento o la medicina.


La politica è un’arte nobile, non certo nel senso di connessa a privilegi, ma è un’arte che richiede eccellenza, prestigio e onestà intellettuale.


Il rischio di affidarsi a demagoghi e incompetenti è dunque di rimanere delusi, come è successo a Platone, e di allontanarsi sempre di più dalla politica; ma allontanarsi da essa significa rinunciare ad occuparci dei problemi degli altri, del benessere comune, significa perdere una delle qualità che ci rende umani, l’empatia.


M.A. 3B CLA


Immagine tratta da: https://pixabay.com/it/vectors/folla-le-persone-democrazia-296520/

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