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Orti sociali per ricucire il tessuto sociale

 Accanto alla biblioteca serve un giardino e un orto”

Cicerone                


I primi orti sociali nacquero in Italia durante la seconda guerra mondiale da una parte per fornire risorse in tempi di guerra, dall’altra per promuovere l’integrazione sociale e l’educazione dei bambini della città secondo quello stile di vita campagnolo promosso nell’età fascista. Venivano chiamati orticelli di guerra e non erano altro che spazi condivisi che permettevano di aumentare la produzione alimentare condividendo uno spazio non utilizzato.


Oggi, in mezzo al caos delle città e all’inquinamento sempre crescente, per non parlare della crisi economica e del degrado sociale e della salute mentale in declino, servirebbe un orto sociale in ogni città, grande come Milano o piccola come Casale Monferrato. Nelle grandi città i bambini vivono in un mondo in cui le zucchine nascono incellophanate già pronte sugli scaffali asettici dell’Esselunga, ma anche in quelle più piccole sono sempre di meno i bambini che hanno nonni che vivono in campagna. Mi ricordo di essere cresciuta con una nonna che aiutavo nell’orto: le tenevo il cesto mentre ci metteva dentro i pomodori, mangiavo le ciliegie quando lei non guardava, scuotevo il fico per farne cadere i frutti, giravo con un piccolo annaffiatoio giallo e ne ero orgogliosa. Rimangono tuttora i momenti più belli della mia infanzia. 



Dobbiamo ricucire il nostro legame con la natura, solo allora riusciremo a ricucire il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri. Per questo l’orto sociale deve essere finalizzato a collaborazione, scambio e amicizia, per non tramutarlo in tante minuscole proprietà private, ma in uno stimolo per creare rapporti umani in una società capitalistica che privilegia la velocità sulla lentezza e la competizione sul sostegno. 


Il termine agricivilismo è stato coniato dal Dr. David Ingersoll, storico dell’architettura e nello stesso tempo promotore del recupero edilizio e sociale, e si definisce come “l’utilizzo delle attività agricole in zone urbane per migliorare la vita civica e la qualità ambientale/paesaggistica”. Un orto urbano che risponde a questo criterio non è solo un orto nel senso stretto del termine,  ma include diverse realtà: parchi agricoli, fattorie nelle periferie delle città, orti per gli anziani, orti terapeutici, orti didattici, mercati di prodotti tipici, parchi fluviali, aree di fitodepurazione, fattorie di energia alternative, zone di conservazione naturale, sistemi di rigenerazione dell’acqua, programmi di riciclo, il compostaggio organico, la produzione e la trasformazione di biomassa, la copertura di edifici pubblici (scuole, palazzi dello sport, ospedali) e capannoni industriali con tetti verdi. Un progetto di agricivilismo deve inevitabilmente coinvolgere i cittadini, come veri protagonisti, in tutte le fasi di progettazione, realizzazione e soprattutto di gestione, favorendo in particolare la progettazione partecipata, ossia un approccio di progettazione che tenta di coinvolgere attivamente tutti i portatori di interesse nel prodotto finito, con il fine di far sì che tale prodotto incontri appieno i loro bisogni e aspettative. Oltretutto, con questa tecnica si crea un legame affettivo con l’orto prima ancora che esso venga alla luce: in fondo, siamo naturalmente orgogliosi di qualcosa nato anche per merito nostro, e che sarebbe stato completamente diverso non fosse stato per noi. 


Un ruolo fondamentale gioca il senso di appartenenza, che il cittadino deve sviluppare nel tempo. Il senso di appartenenza è legato a ricordi positivi del luogo: io mi considero ancora "appartenente" all’orticello di mia nonna, anche se ora è molto più piccolo e spoglio e ho smesso di andarci nei periodi scolastici. 


Crea occasioni di aggregazione sociale intergenerazionale ed interetnica. È un mezzo per riscoprire la solidarietà e per rafforzare la comunità, oltre a poter diventare un piccolo sostegno economico per le famiglie. Protegge dal degrado delle aree abbandonate allontanando la criminalità e favorendo lo sviluppo sociale.


Insomma, credo che, come quasi sempre accade, sia proprio la natura a poterci salvare la vita. 


E. I.         

II B Liceo Classico        


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