13 maggio
Ricordo precisamente il 13
maggio. Erano le otto del mattino ed io ero seduto sul pullman che dalla
periferia di Milano arriva fino al centro, irrigidito da una camicia inamidata
ed una cravatta blu che non mettevo dai tempi del liceo.
Era da mesi che aspettavo questo
giorno: l’opportunità di un colloquio con la Intercom, azienda molto
prestigiosa nel campo delle comunicazioni, esattamente il genere di lavoro per
il quale avevo studiato tutta la vita. Mi ero preparato con cura, la camicia ed
il completo erano stati ritirati il giorno prima dalla lavanderia, le scarpe
erano nuove e lucide, avevo pensato a tutto con cura: addirittura, tra le prese
in giro dei miei amici, avevo acquistato il biglietto del pullman la sera prima
e l’avevo infilato nella tasca della giacca. Mi sentivo teso, certo ma anche
determinato: quel posto di lavoro significava non solo uno stipendio
considerevole e la possibilità di viaggiare molto, anche all’estero, ma
soprattutto era la rappresentazione di ciò che avevo sognato nelle lunghe ore
passate a studiare in biblioteca per gli esami universitari, un futuro di
successo e soddisfazione, che a quel tempo mi sembrava un sogno lontano. Mentre
ripetevo mentalmente le frasi che avrei usato per presentarmi, vidi spuntare
dal fondo dell’autobus una figura in divisa che si avvicinava al mio sedile, il
controllore. Fortunatamente a quest’eventualità mi ero preparato, infatti il
mio biglietto era stato riposto con cura nella tasca destra della mia giacca
fin dalla sera prima. Soddisfatto, mi apprestai a recuperarlo per
mostrarglielo, ma come si sa, anche i piani migliori in battaglia spesso
falliscono. -Biglietto, prego- mi disse il controllore ormai vicino. La mie
dita corsero alla tasca, ma il biglietto non c’era. Le dita annasparono fra il vuoto
della stoffa, iniziai a sudare freddo. -Solo un secondo per cortesia- gli
dissi-. -Senta io non ho tempo da perdere, se non ce l’ha lo dica subito-.
-L’avevo messo qui, ne sono sicuro!-. -Signore, non è la prima volta di oggi
che sento questa scusa, glielo assicuro-. -Ma no, l’ho comprato, glielo giuro-
dissi con voce quasi tremante dalla rabbia. -Sono 80€ di multa, prego fornisca
le sue generalità-. -Ma come sarebbe ottanta euro, è un furto!-. -Se preferisce
può scendere qui-. -Non se ne parla, devo fare un colloquio importante oggi-.
-Se era tanto importante poteva pensarci prima di salire senza biglietto, e ora
mi segua-. Il pullman si fermò in quello che pensavo fosse il mezzo del nulla:
un quartiere sconosciuto, che non avevo mai visto in vita mia e non avevo idea
si come si chiamasse. -Sappia che lei è un vero maleducato- dissi a voce un po’
troppo alta, ormai invaso dalla frustrazione e dall’imbarazzo, di fronte alla
folla dei passeggeri ammutoliti. -Buona continuazione- mi disse sbrigativamente
lui, e senza troppi complimenti mi spinse tra le porte ormai aperte da qualche
minuto. A terra, ormai senza un mezzo di trasporto e in ritardo per il
colloquio, desideravo solo un momento per sfogarmi. Mi sedetti sulla panchina
scrostata sotto la pensilina, e nel farlo notai una ragazza che rideva
sommessamente. Era bionda, aveva gli occhi vivaci e mi osservava apertamente.
-Scusa non rido di te, ma hai fatto proprio una bella scena-. Mi resi conto che
tutto si era svolto davanti a lei, e all’improvviso mi assalí l’imbarazzo. -Su
non fare così, dov’è che dovevi farlo il colloquio?-. Le raccontai le mie
disavventure e mentre lei annuiva, sapeva dove si trovava il posto. Guardai
l’orologio e mi resi conto di essere ormai irrimediabilmente in ritardo, così
ci incamminammo piano, io e quella che non sapevo ancora sarebbe stata la mia
futura moglie, lontano da quello che pensavo sarebbe stato il capolinea ed
invece era solo l’inizio del viaggio.
E. Boggetti, IIIB Liceo Classico
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