Quando si parla di violenza, viene quasi spontaneo pensare immediatamente a quella fisica; la forma di violenza più lampante, la stessa che lascia segni sul corpo vividi, eppure – e purtroppo – esiste un’altra forma di violenza, quella psicologica.
Molte persone spesso non fanno caso ad essa e pensano che, in fin dei conti, le parole non fanno così male, come se l’assenza di lividi, graffi o fratture potesse rendere meno devastante l’impatto psicologico su una persona.
C’è un motivo se William Shakespeare, nella tragedia “Hamlet”, scrisse “words like daggers” – “parole come pugnali”: sono infime, delle volte silenziose, ma anche sussurrate alle spalle o all’orecchio, urlate in faccia, dette con un sorriso candido, e si infilano sotto la pelle, pungenti, mentre rodono e bruciano dall’intero, consumando piano piano ogni barriera costruita.
L’espressione generica “violenza psicologica” racchiude dentro di sé una serie di aspetti e sfere che sono in un qualche modo riconducibili ad essa, e la lista è lunga – purtroppo fin troppo lunga: si parla di bossing, mobbing, bullismo, cyberbullismo, ma anche di violenza domestica, di vessazione e minacce mafiose.
La violenza psicologica è un insieme di atti, parole o sevizie morali, minacce o intimidazioni che puntano non solo ad obbligare gli altri ad agire contro la propria volontà in alcuni casi, ma anche ad opprimere la persona stessa – che però, a quel punto, non viene più considerata come tale da chi commette violenza.
La vittima spesso, in un primo momento, non si rende conto di quello che sta accadendo realmente, ma se e quando se ne rende conto, raramente penserà che la colpa non sia la sua.
“Avrò fatto sicuramente qualcosa per meritarmi ciò”, dirà a sé stesso, quando in realtà è sempre e soltanto l’esatto opposto: nessuno merita di essere denigrato, umiliato o isolato per ciò che è.
La violenza psicologica non è meno grave o pericolosa di quella fisica, tutt’altro, in special modo se si guardano i traumi psicologici che possono derivare da essa, quali, ad esempio, depressione cronica, ansia o disturbo da stress post traumatico. A tale proposito sono state importantissime anche le ricerche svolte da Albert Biderman, che le ha successivamente riassunte in uno schema, “Biderman’s Chart of Coersion”, nel quale non vi è quasi traccia o riferimento di violenza fisica.
Per quanto ci possano essere diversi tipi di violenza psicologica, tutti hanno una caratteristica comune: non far sentire “abbastanza” la vittima, in un modo o nell’altro.
Non abbastanza forte, non abbastanza bella, non abbastanza buona, non abbastanza ammirevole, non abbastanza degna di rispetto e amore, non abbastanza per qualcuno.
Non abbastanza umana.
Non abbastanza e basta.
Nel momento in cui si mira a distruggere ed opprimere una persona, essa non viene più considerata come tale, quando in realtà non dovrebbe essere mai e poi mai così. Non esistono persone superiori o inferiori rispetto ad altre: tutti meritano rispetto e, in caso di difficoltà, aiuto – che purtroppo non è mai davvero abbastanza.
Quindi anziché girare la testa dall’altra parte e far finta che questo tipo di violenza sia meno grave rispetto ad altri, bisogna ricordarsi che il fatto che certe ferite non si vedano non vuol dire che non esistano.
Al posto di non curarci minimante di ciò, impariamo cosa sia il rispetto. Impariamo a dire “sei molto più che abbastanza”.
(https://pixabay.com/it/illustrations/vergogna-emozione-sensazione-652499/)
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