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OUTRO

 

                                                        ‘’Outro’’

 https://pixabay.com/it/photos/spartiti-musicali-musica-pianoforte-1229481/.


    Ci siamo conosciuti dieci anni fa e da quel momento siamo stati inseparabili. Ogni giorno, che piovesse il splendesse il sole noi eravamo insieme.  Ricordo tutti pomeriggi che passavamo qui al Teatro , a provare e riprovare note e stacchi con quella precisione spasmodica, quasi maniacale che l’ha sempre contraddistinta. Minuti, ore, poco importava, voleva che tutto suonasse perfetto, fluido, come se quella cascata di note sgorgasse naturalmente e non fosse il frutto di ore passate ad esercitarsi. Sere dopo poi, quando tutte le luci si spegnevano e il pubblico si zittiva, persino le signore pettegole, quelle che venivano a teatro solo per commentare sottovoce le  mises delle altre donne, tacevano e per due ore si dimenticavano che esistesse un mondo all’infuori da quelle note, un mondo fatto di salotti, chiacchiere e sottili cattiverie: quasi si pentivano, come se quella musica, al pari di una voce angelica, fosse scesa dal cielo ad ordinare loro una redenzione. Era quella la sua vera magia: quella musica che faceva nascere dentro di sè il desiderio di cambiare, di modificare tutto ciò che non andava nella propria vita, faceva credere ad ognuno che fosse possibile, finito lo spettacolo, alzarsi dalle poltroncine ed essere persone nuove, migliori.

    A fine spettacolo, dopo gli applausi, invariabilmente riceveva bracciate di fiori, rose soprattutto e la vedevo andare via carica di quei mazzi un po’ imbarazzata, quasi come se li avesse presi senza che spettassero a lei. Erano molte di più le volte però in cui li lasciava qui, almeno in parte. Sembrava volesse dirmi che non si prendeva tutto il merito, che sapeva che senza di me non ce l’avrebbe fatta. La vedevo affannarsi a riempire d’acqua un vaso preso chissà dove, probabilmente procurato da qualche addetto alle pulizie molto contrariato, per poi posarlo sulle assi del palcoscenico: contemplava il risultato vagamente soddisfatta e poi se ne tornava finalmente a casa. Non sapevo molto di ciò che accadeva a casa sua, non ne parlava mai, almeno non con me, ma sapevo che non era felice. Ogni giorno arrivava qui, a Teatro prima degli altri e si sedeva subito a provare, come se suonare fosse un modo per schermarsi dai suoi stessi pensieri. Lo sentivo dal modo in cui toccava i tasti, con le dita che parevano cadere su ogni nota per poi riprendersi un attimo prima, ritrarsi e gettarsi in quella successiva. Non avevo mai sentito nessuno suonare così, non con me: il suo era un talento fuori dal comune, più vicino a quello di Bach e Schumann piuttosto che ad un qualsiasi grande musicista contemporaneo. Tutti lo sapevano e glielo ripetevano sempre, ma a lei pareva non importare, scuoteva la testa e diceva, riferendosi a me:- È merito suo senza di lui non sarei in grado di fare niente-, accompagnando il tutto con un colpetto. Io a quelle parole mi inorgoglivo, ero fiero di essere parte di quella magia che sapeva creare. Ma un giorno, senza una spiegazione, non si presentò. Vidi molte persone che si agitavano, ma non seppi mai che cosa fosse accaduto: nessuno pensó di dire a me, un semplice pezzo di plastica e legno, che fine avesse fatto la sua  compagna di tanti momenti, e il motivo per cui non sarebbe mai tornata. Da quel momento così sto qui, dietro le quinte, coperto da una polvere da cui mi ripara, pieno di fiori ormai sfioriti, solo un vecchio vaso. Nessuno mi suona più, ormai tutti preferiscono i futuristici pianoforti moderni, ma mi piace pensare che nessuno sarebbe in grado di far scivolare fuori da me una cascata perfetta di note, la mia vocazione musicale si è spenta con lei e non mi resta che qualche fiore secco, un po’ di polvere ed un pugno di bei ricordi.


                                                                                            E. BOGGETTI, IIIB Liceo Classico

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