Da anni, lo sappiamo, in molti questionari che ci vengono proposti (a scuola e non) ci viene fatta questa richiesta prima di iniziare a rispondere: sei maschio, femmina, o preferisci non rispondere? Oppure sei "altro"? Ad uno sguardo non attento, la terza opzione potrebbe far sorridere, ma sarebbe opportuno riflettere intorno a ciò che rappresenta. Se è vero che il genere è uno spettro della personalità, in quanto è una costruzione sociale che cambia profondamente da civiltà a civiltà, e fino ad oggi non è stato raro ascoltare dichiarazioni di persone che si identificano come "non binarie" (= identità di genere che non si colloca in maniera definitiva né al polo maschile né a quello femminile), allo stesso tempo non si può ignorare la rilevanza che ha sulle nostre esperienze di vita il sesso che ci viene assegnato geneticamente. Non fraintendiamo: come riconosciuto dalla comunità scientifica e dalla legislatura di diversi paesi, un'identità di genere che non coincide con il sesso della persona e l'eventuale cambio di quest'ultimo sono totalmente validi. Tuttavia, aver trascorso l'infanzia e probabilmente anche l'adolescenza nei panni di un maschio o di una femmina agli occhi della società, ci modella profondamente come individui. L'insieme di aspettative, trattamenti, relazioni con i pari, discriminazioni dettate dal genere influenza il modo di pensare, di vedere il mondo e interagire con esso. Perciò, nel momento in cui si fa un'indagine statistica nazionale, la distinzione maschio-femmina appare ancora necessaria, in quanto radicata nella nostra cultura.
M. T. 4 A SCU
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