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Mr. Robot, andare oltre Fight Club

Nelle discussioni atte ad eleggere la migliore serie TV di sempre, in mezzo alle grandi battaglie tra pesi massimi come Breaking Bad, Game of Thrones o I Soprano, di tanto in tanto qualcuno cerca di infilare da una porticina sul retro uno dei capolavori dell’ultimo decennio televisivo: Mr Robot.

La vicenda ruota attorno alla figura di Eliot, interpretato da Rami Malek, ingegnere informatico sociopatico destinato a diventare un rivoluzionario. La sua guerriglia da hacker (e non solo) contro la E-Corp, multinazionale detentrice di buona parte del debito mondiale oltre che responsabile di un disastro ambientale costato la vita alla madre del protagonista, per cui i responsabili non hanno mai pagato (ricorda qualcosa?), attraversa 4 stagioni con un crescendo di tensione che si risolve nell’esplosione dei delicati e complessi schemi in un finale memorabile per regia e sceneggiatura.

Dal suo esordio nel 2015 il prodotto di Sam Esmail ha colpito per la sua capacità di uscire dagli schemi tipici della serialità televisiva e presentare un prodotto freschissimo, calando temi monumentali della cinematografia e della letteratura nella cornice di un presente per certi versi distopico ma che allo stesso tempo percepiamo come confinante col nostro mondo.

Sono proprio paure e inquietudini dell’oggi e del domani ad essere rappresentate nel contesto di una New York ingrigita e poco scintillante: troviamo temi economici e sociali, come le crisi finanziarie o il divario in aumento tra ricchi e poveri (e conseguentemente tra oppressori e oppressi), mischiati ad altri prettamente umani, tra cui spicca l’alienazione del protagonista e una più diffusa difficoltà nelle relazioni da parte dei personaggi, caratterizzate da un fondo di incomunicabilità a tratti spettrale, appesantita dalla mediazione continua dell’elemento informatico.

Nell’informatica dunque risiede in qualche modo sia la possibilità di “liberazione” degli oppressi, sia la fonte di molte delle inquietudini che caratterizzano la serie. In generale non è di certo un prodotto per soli nerd: si va molto oltre gli aspetti tecnici della materia, approfondendone le implicazioni etiche e politiche. Eliot è inizialmente un “giustiziere” del terzo millennio, in grado di sfruttare le sue abilità informatiche per scovare i criminali della peggior specie, per poi arrivare grazie alla sua organizzazione clandestina, la fsociety, a sedersi al tavolo dei potenti del pianeta, minacciando di far saltare l’intero sistema.

Trattando di Mr Robot è difficile non aprire una parentesi su Fight Club: Esmail ha tratto, specie nella costruzione delle prime stagioni, molto dall’opera di Palahniuk e del suo derivato cinematografico firmato da David Fincher. Troviamo in particolare punti in comune tra i protagonisti, che condividono la particolare tendenza a creare alter-ego e ingannare gli spettatori, oltre che una simile visione critica della società consumistica, combattuta in entrambi i casi tramite società sovversive.

Col passare delle stagioni Mr Robot ha spiccato il volo, staccandosi più o meno definitivamente dalla matrice ma continuando col citazionismo verso altre opere dello stesso filone “anti-establishment” (pensiamo alle maschere della fsociety, riprese da V per Vendetta).

Il risultato è un prodotto complesso e intricato, ma reso pienamente soddisfacente dalla capacità di emozionare e stupire, senza snaturare una sceneggiatura che per la sua coerenza e puntualità sembra essere stata partorita già integralmente dal deus-ex-machina Sam Esmail.

Chiunque provi ad inserirla dalla già citata porticina ha il mio appoggio: Mr Robot è uno dei diamanti più puri della storia televisiva recente.

F. G.

5B Scientifico

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