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Detroit FINALE. L'intelligenza artificiale tra paura e futuro

All'alba del 2024 ci siamo ritrovati in un clima di forte dibattito intorno all'intelligenza artificiale, o IA: in particolare, il suo rapidissimo avanzamento ha scatenato molte ipotesi sul futuro prossimo del sistema lavorativo. Si suppone che si innescherà un'ennesima rivoluzione industriale: prima le macchine a carbone, poi l'energia elettrica, poi internet, hanno portato certi lavori a scomparire, ma anche alla nascita di nuovi. Ora, la capacità di sistemi come Chat GPT di creare testi, immagini, programmazioni, idee in completa autonomia ed altro ancora, potrebbe mettere in discussione addirittura l'esistenza di figure come l'insegnante, l'ingegnere, l'amministratore di base, il grafico e molti altri ancora.

Ma è solo dallo scorso anno che si è insediata nelle nostre menti l'idea che, in un futuro non definito, avremo a disposizione dei robot al nostro servizio (ma che poi si riveleranno un grosso problema) ? Assolutamente no!

Tornando molto indietro, possiamo rifarci a film come Bicentennial Man (1999), quando Robin Williams recitò la parte di un robot domestico che piano piano guadagnerà un'autonomia emotiva e una coscienza.

Tornando poco indietro, lo stesso tema lo affronta Detroit Become Human (2018), il gioco di cui parleremo in questo articolo.


Corre l'anno 2038 e siamo negli Stati Uniti, in una società già profondamente cambiata dal lancio degli androidi sul mercato. Queste macchine sono in grado di svolgere ogni tipo di lavoro, e la ricca Cyber Life ha logicamente aumentato il tasso di disoccupazione e di povertà in tutto il mondo. In questo malcontento generale emerge un ulteriore problema, un problema tale da portare a una guerra civile; sebbene gli androidi siano progettati per eseguire gli ordini degli umani senza battere ciglio, da qualche tempo si sono verificati dei casi di "devianza": macchine che sembrano manifestare sentimenti umani e stabilire legami emotivi.

Ma quand’è che l’Ai è iniziata a diventare un effettivo problema? 

Alla fin fine tutte le parti meccaniche di una produzione in fabbrica o le AI degli NPC nei videogiochi non sono anche loro piccole Intelligenze Artificiali che svolgono il loro lavoro? Certo, il loro campo di azione è molto ristretto, possono fare solo un’azioni semplici come spostare o alzare piccoli oggetti o non interagire proprio col mondo reale. Quello che veramente preoccupa e che queste macchine stanno acquisendo una vera e propria etica, il senso di ciò che può essere giusto e cosa sbagliato. Un senso che fino ad ora avevamo sviluppato solo noi umani. 

Ogni giorno che passa le AI diventano sempre più sviluppate. Novel.Ai ti permette di far scrivere una storia sotto tue condizioni, Chat GPT riesce a farti avere un conversazione apparentemente reale, Artguru crea più immagini alla volta dopo che gli è stato dato un tema, esistono persino AI capaci di analizzare campioni di voce per poi poterla sintetizzare e usarla come se si fosse quella persona. Nonostante ciò, bisogna comunque dire che in fin dei conti siamo stati noi a crearle e adesso noi ce ne lamentiamo; non è come creare una pistola e poi lamentarci se ci prendiamo una pallottola allo stomaco? Non siamo forse noi artefici del nostro stesso male? Le A.I stanno solo facendo il lavoro che noi stessi gli abbiamo impostato di fare, senza neanche saperlo di fare, e mentre forse dovremmo ringraziare coloro che hanno segnato un "punto fisso" nella storia della tecnologia moderna, ogni tanto vengono ricoperti di insulti perché “causeranno la fine del mondo” e concetti similari. Bisogna guardare entrambe le facce della moneta: per esempio, l’avvento di queste tecnologie ha causato una piccola rivoluzione nel mondo dell’intrattenimento digitale. Infatti, Youtuber come Failbot o Doug Doug, le hanno usate per dar voce alla propria chat dal vivo, o far accadere eventi nel mondo di gioco tramite interventi di quest’ultima. Comunque sia, per fortuna, il caso di Detroit è un’utopia tecnologica e una distopia sull’organizzazione umana, che probabilmente non si realizzerà mai.

Detroit Become Human ci offre anche uno spunto di riflessione riguardo ad un futuro che sembra sempre più prossimo. Quand’è che una macchina può essere definita un essere pensante alla stregua degli esseri umani? Questo dilemma morale è il leitmotiv dell’opera nella quale, non a caso, i tre personaggi giocabili sono tutti androidi. Vi saranno ferventi dibattiti sia tra gli androidi stessi, sia tra androidi e umani per decretarne il verdetto. Tutto, però, rimane nelle mani del giocatore, che sarà il vero giudice, alla fine.

Le implicazioni nella realtà, di dilemmi simili, si sono già viste. Possiamo per esempio citare il lavoro di Asimov e le sue “Quattro Leggi della robotica”: nonostante sia fantascienza e non implementabile nella vita reale, soprattutto perché alcuni dei più grandi finanziatori della robotica e dell’intelligenza artificiale sono gli eserciti di tutto il mondo, le IA vengono attualmente sperimentate alla guida di droni... a cosa servirebbero dei droni inoffensivi che seguono le leggi di Asimov?

Poi vi è il celeberrimo test di Turing, ideato nel 1950 da Alan Turing: esso cerca di tracciare una linea tra l’intelligente e il non intelligente. E' diviso in due fasi e si basa solo sulla comunicazione scritta e prevede tre partecipanti, un uomo A, una donna B e un individuo C.

Fase 1: C dovrà indovinare chi è l’uomo e chi è la donna, mentre A dovrà ingannarlo e B dovrà cercare di aiutarlo.

Fase 2: a un certo punto, A sarà sostituito da una macchina, senza che B e C lo sappiano. Se la percentuale di volte in cui C indovina chi è l’uomo e chi la donna è simile a prima che A venisse sostituito, allora l’IA sarebbe considerabile intelligente, siccome simile a un essere umano.

Il test di Turing, però, riporta diverse criticità tra cui la possibilità di addestrare una macchina a fingersi un essere umano senza che essa debba effettivamente pensare. Un esperimento contro il test fu “la stanza cinese”, ideato da Searle nel 1980. Esso è il punto di riferimento attuale della comunità scientifica per la decretazione di un essere intelligente artificiale, distinguendo da quella forte a quella debole. 

In caso di volontà di approfondire tale argomento, data l’estrema tecnicità del lavoro in sé, consigliamo i libri di Searle stesso, tra cui “ La mente è un programma?”.

Simile al test di Turing, sui social è spopolato un sito internet che ti permetteva di svolgere un gioco online che ha lasciato molte persone di stucco.  Humanornot.ai  ti presentava una sessione in cui, potenzialmente, vi era collegata un’altra persona. Al termine di 60 secondi, però, veniva posta una domanda fondamentale: “hai parlato con un’AI o un umano?”.

Il gioco è ora inaccessibile perché, sorpresa, era in realtà un esperimento globale! Nonostante forse la scientificità dell’esperimento sia un po’ scadente, offre comunque dei risultati molto interessanti: quando un umano giocava con un bot, riusciva a indovinare soltanto nel 60% dei casi, le persone erano spesso spiazzate dall’uso di slang, risposte a questioni sentimentali e filosofiche e la conoscenza dell’attualità.

Nonostante il test interattivo non abbia dato dei risultati schiaccianti, crediamo sia comunque importante sottolineare i risultati incredibili che l’umano sta raggiungendo nel “sentirsi meno solo”. Oltre ai progetti precedentemente analizzati, come Chatgpt, esistono migliaia di altre applicazioni, come Boston Dynamics, Google Bard, Tesla. L’inquietudine portata dall’idea di qualcosa più intelligente di noi, che ci può dominare come noi abbiamo dominato gli altri esseri viventi del nostro pianeta, è molto comune e rischia di diffondere una visione distorta della realtà, basata sulla paura.

 

L’intelligenza artificiale, come concordano molti esperti, probabilmente sarà solo un nuovo strumento utilizzato dall’essere umano, ma nulla più. I mestieri si evolveranno, ma l’intervento dell’uomo sarà, per sempre, insostituibile.


Martina Forti

Luca Costantino

Daniel Patrucco

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