Mai come nella guerra tra Russia e Ucraina i social network, nel bene e nel male, sono i protagonisti! Siamo abituati a percepire i social come uno strumento di intrattenimento e di informazione, ma ci dimentichiamo della sua importanza a livello socio-politico.
Al momento è in atto una duplice guerra, una reale e una digitale. È lecito chiedersi: come i social e il mondo digitale stanno influenzando la guerra tra Russia e Ucraina? Il governo ucraino utilizza i social (soprattutto Telegram e Twitter) come uno dei principali supporti comunicativi per animare la resistenza e dialogare con la popolazione. Lasciar funzionare i social è un segnale chiaro che mira anche a permettere le comunicazioni istituzionali ucraine nel caso sia pronunciato il cessato il fuoco con l’accoglimento delle richieste di Mosca. Il governo russo, con i social, lancia messaggi istituzionali per rallentare la resistenza degli oppositori e convincere a sostenere il paese. Grazie ai social: c’è chi ha potuto rassicurare i parenti, chi cercare dispersi, ma anche sapere che la nave sulla quale prestava il marito è stata affondata. Sui social, nell’ultima settimana sono state calcolate oltre venti milioni di interazioni e post riguardanti la crisi, sono state caricate fotografie e cronache dell’invasione, video e testimonianze. Alcune eloquenti e drammatiche, come il carro armato russo che schiaccia un’autovettura o la bomba guidata che colpisce le strutture aeroportuali di Kiev, altre invece ben poco affidabili oppure palesemente costruite per alimentare la disinformazione. A tal proposito è importante distinguere la disinformazione in rete, vale a dire un'informazione falsa diffusa con l'intenzione di ingannare le persone, dalla misinformazione, un'informazione fuorviante, imprecisa o completamente falsa che viene diffusa senza l'esplicita intenzione di ingannare. Falsa la notizia della fuga del presidente Volodymyr Zelensky, false le foto di piloti donne ucraine che avrebbero abbattuto numerosi caccia russi, falsi anche i video del duello aereo tra velivoli. La società che controlla Facebook, Meta, ha costituito un centro operativo speciale per vigilare sulla diffusione di notizie false che opera cancellando i contenuti inopportuni e bloccando gli autori. La rete sociale ha il potere di aumentare il nostro coinvolgimento emotivo anche in conflitti che avvengono a migliaia di chilometri da casa nostra, ma proprio per questo ci smentiscono dell’illusione di essere solo osservatori esterni, in quanto anche le nostre reazioni in rete, oggi, sono parte di quel conflitto. Con grande sofferenza, cito la notizia, purtroppo vera, di Kirill, il bambino di diciotto mesi morto sotto le bombe a Mariupol: il padre si precipita attraverso le porte dell’ospedale portando tra le braccia il figlio, avvolto in una coperta blu pallido macchiata di sangue. I medici si precipitano sul bambino, provano ad esaminare le ferite con lo smartphone, visto che l’ospedale è senza elettricità né riscaldamento. Ma non c’è niente da fare!
Un recentissimo articolo del New Yorker, intitolato “Watching the world’s first TikTok war” (Guardando la prima guerra TikTok del mondo), analizza la nuova immagine di questa guerra via social, e le implicazioni di una comunicazione, spesso brutale, veicolata attraverso un colosso informatico. L’autore dell’articolo, Kyle Chayka, conclude ponendo un interrogativo a cui è davvero difficile dare una risposta: si tratta di una nuova forma di giornalismo di guerra “dal basso”, fatto dai cittadini e non dai professionisti, o è solo un invito a continuare a cliccare?
“Credo che la guerra sia una cosa che rappresenta la più grande vergogna dell'umanità.
E penso che il cervello umano debba svilupparsi al punto da rifiutare questo strumento sempre e
comunque in quanto strumento disumano.”
Gino Strada
C.G.
3A Com.
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