Il “Parla e getta”:
ciò che la guerra fa emergere
(immagine
tratta da
https://www.pexels.com/it-it/foto/fotografia-time-lapse-di-persone-che-camminano-sulla-corsia-pedonale-842339/
Il conflitto tra
Ucraina e Russia sta provocando morte, distruzione, sfollamenti, e le molte
altre conseguenze che tutti si aspettano sempre da una guerra, senza però mai
essere davvero pronti ad affrontarle per davvero.
Tuttavia, oltre alle dirette, gravi implicazioni di cui possiamo dirci ora spettatori - più o meno coinvolti - e delle quali siamo a conoscenza in maniera più o meno sommaria, la situazione attuale fa emergere con chiarezza un fenomeno sociale non poco rilevante, che riguarda le occupazioni mentali in cui è impegnata l’opinione pubblica.
Il fatto che,
improvvisamente, si sia trasferita la quasi totalità dell’attenzione verso il
“nuovo” argomento probabilmente non dovrebbe nemmeno risultare strano: ora che
è emerso a livello macroscopico - e con ciò si intende che la diffusione
mediatica dell’evento si è decisamente ampliata - il conflitto è divenuto il
nuovo impiego intellettuale della massa e, nonostante fosse in corso già dal
2014 (certamente l’insurrezione del Donbass ed altri eventi hanno giocato un
ruolo fondamentale nel progredire dei fatti), se ne vedono ora gli effetti
sulla discussione pubblica.
Naturalmente, l’emersione dell’argomento ha come causa lo sviluppo di circostanze tragiche, sulle quali la collettività non può far altro che speculare e produrre discorso; in generale, in un’emergenza a livello sociale la discussione ruoterà inevitabilmente attorno agli argomenti concernenti la suddetta.
Tuttavia è inevitabile che salti all’occhio il fatto che “l’argomento Covid” abbia non solo cominciato ad essere trascurato, ma addirittura sia stato repentinamente sostituito, quando è chiaro che non corrisponde alla realtà. Che la guerra rappresenti il nuovo “pezzo di carne”, da rosicchiare e poi abbandonare, non è rassicurante, e pone seri dubbi sulla percezione che la società ha dei problemi di cui discute, e del peso della stessa opinione pubblica.
È probabile che il problema radicale consista nel fatto che la “gente” (in questo caso tale strumento retorico è assai utile) non pensi: la discussione pubblica consiste in un agglomerato di “residui” dei pensieri dei singoli, uniti alla gravosa influenza mediatica, che certamente non gioca un ruolo di secondaria importanza: una sorta di organismo-massa vivente ma non raziocinante. Si inibisce, dunque, il controllo che ognuno ha della propria volontà di discutere degli argomenti di cui vuole trattare, e si è trascinati, quando non inghiottiti, dal “mostro” soprascritto.
L’utopia, quindi, consiste proprio nel raggiungere un elevato grado di consapevolezza generalizzata, tale da rendere la discussione pubblica direttamente costituita dai pensieri degli individui.
T.P., IVB SCIE
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