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LA “PICCIRIDDA” DELL’ANTIMAFIA




Tre giorni fa era il 21 marzo, una giornata che simboleggia tante cose: il primo giorno di primavera, la giornata mondiale della sindrome di Down, persino la giornata mondiale della poesia. Ma il 21 marzo è anche la giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Ognuna di loro viene ricordata, nessuna esclusa.

“Dal 1996, ogni anno, una città diversa, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Recitare i nomi e i cognomi come un interminabile rosario civile, per farli vivere ancora, per non farli morire mai”, si legge sul sito ufficiale di Libera.

Oggi però, tra le tante vittime, ho scelto di raccontarvi la storia – spesso sconosciuta ai più – di Rita Atria.

Rita nasce il 4 settembre 1974 a Partanna, in Sicilia, da Vito Atria e Giovanna Canova; suo padre era un pastore e proprietario agricolo, nonché piccolo boss locale, affiliato a Cosa Nostra. È il 1985 quando Rita perde il padre, ucciso in agguato in seguito alla decisione di non incoraggiare i crescenti affari del narcotraffico.

È da quel giorno che il fratello di Rita, Nicola, di dieci anni più grande, decide di vendicarsi, seguendo la legge non scritta del codice mafioso. Rita, oltre che la madre, ha solo suo fratello e la moglie di lui, Piera Aiello, a cui si avvicinerà tantissimo a seguito della morte del padre; è proprio dal fratello che Rita raccoglie le più intime confidenze sugli affari e sulle dinamiche mafiose a Partanna.

Ma nel giugno del 1991 Nicola Atria viene ucciso nella pizzeria dove lavorava, davanti agli occhi della moglie, che in seguito decise di collaborare con la giustizia; Rita resta a tutti gli effetti sola in una realtà mafiosa a cui sente di non appartenere. Aveva un diario – un oggetto comune a tutti noi tutt’ora – che era a tutti gli effetti il suo unico confidente.

In una pagina, Rita confida le sue paure più profonde e radicate.

“L’una di notte e non riesco a dormire. Sono molto preoccupata e per la prima volta dopo la morte di Nicola ho una gran paura, non per me, ma per mia madre. Il motivo è che stasera, alle 11,35 circa, ho sentito bussare alla porta. Io e mia madre eravamo sveglie, ma le luci erano spente, mia madre dopo che hanno continuato a bussare insistentemente, ha chiesto chi era, e una voce ha risposto che era Andrea e che era venuto a fare visita”, scrive. Andrea era un giovane che suo padre faceva lavorare nei campi e che non si presentava a casa loro da anni, e Rita era certa che volesse ucciderla, perché sapeva che girava sempre con una pistola e che per denaro era disposto a tutto.

“Ho detto a mia madre che era tutto a posto, ho inventato delle scuse per tranquillizzarla, ma ho proprio paura che domani mi uccideranno. Spero che le mie paure siano infondate, ma in caso contrario spero non facciano del male a mia madre, la mia paura è per lei, non posso lasciarla nei guai. Domani avvertirò il brigadiere, ma prima devo assicurarmi che mia madre sia al sicuro. Spero non sia l’ultima volta che scrivo in questo quaderno”.

Presto in Rita inizia a crescere la volontà di voler collaborare con la giustizia, proprio come la cognata Piera, perché sapeva perfettamente che la vendetta avrebbe portato solo altro sangue e nessuna giustizia per quegli omicidi; la madre tentò di dissuaderla, ma davanti alla convinzione della ragazza non ci riuscì e decise quindi di ripudiarla, considerandola una vera e propria traditrice.

Rita ha solo diciassette anni e nel novembre 1991 inizia a raccontare tutto quello che sapeva a Paolo Borsellino, all’epoca procuratore di Marsala. Fu proprio lui a darle l’appellativo di “picciridda” e lei lo vide sempre come un vero e proprio padre. Entra a far parte del programma di protezione dei testimoni di giustizia e si trasferisce a Roma, vivendo nell’anonimato.

Grazie alle testimonianze di Rita, della cognata Piera e di altre ancora, vengono arrestati numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala e di avviare un'indagine sull'onorevole democristiano Vincenzino Culicchia, per trent'anni sindaco di Partanna.

Ma il mondo di Rita viene presto distrutto, un’altra volta ancora: il 19 luglio 1992 avviene la strage di Via D’Amelio, in cui restano uccisi Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta – Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico a salvarsi fu Antonio Vullo.

In quella strage però morì anche Rita: con Borsellino se ne andava una parte fondamentale di sé e – forse – sentì come se avesse perso un padre per la seconda volta.

“Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta.”

Sentendosi completamente sola e senza nessuno su cui contare, vedendo il suo sogno di riscatto e le sue speranze morire in quella strage, Rita decide di togliersi la vita una settimana dopo, gettandosi dal quinto piano del palazzo nella Via Amelia di Roma, dove viveva nascosta.

Quasi nessuno si presenterà al suo funerale a Partanna, anzi, la madre si recherà diversi mesi dopo al cimitero per distruggerne la lapide a martellate. Ma fu la sorella di Rita, Anna, a volerne un’altra nuova. “Con affetto Anna”, ha fatto scrivere.

Rita non è ricordata solo come una testimone di giustizia, ma come una vera e propria eroina da cui tutti dovrebbero imparare.

Lei stessa scrisse:

“(…). Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi.”


S.F.
III A Class

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