LO STRANIERO: Un viaggio nell’assurdo e nell’indifferenza
Albert Camus pubblicò “Lo Straniero” nel 1942, un romanzo che sarebbe diventato un’opera fondamentale della letteratura del Novecento e un pilastro del pensiero esistenzialista e assurdo. Non è un libro che consola, né che offre risposte. Al contrario, è un'opera che spoglia la vita di ogni certezza, di ogni illusione di senso, lasciandoci soli di fronte all’assurdo. Leggerlo significa confrontarsi con le domande più radicali sull’esistenza, con la nostra fragilità, con la tendenza umana a costruire significati per paura del vuoto. Meursault, il protagonista, è il volto di questa inquietante consapevolezza. La storia si apre con una delle frasi più celebri della letteratura: “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so”. Già da queste prime parole, Camus introduce il lettore in un universo esistenziale spoglio di emozioni convenzionali. Meursault riceve la notizia della morte della madre con un atteggiamento che sembra privo di dolore o di turbamento, un’assenza di reazione che la società giudicherà imperdonabile. Ma è davvero indifferente, o è solo uno dei pochi uomini capaci di non mentire a sé stesso? La sua vita scorre con apparente leggerezza tra giornate di lavoro monotone, nuotate nel mare di Algeri, momenti di svago con Marie, la donna che lo ama, ma che lui non riesce a ricambiare con la stessa intensità. Poi, un giorno qualsiasi, tutto cambia. Meursault si trova coinvolto in un conflitto con un gruppo di arabi e, in una scena sospesa tra il caso e il destino, uccide un uomo. Non c'è odio nel suo gesto, né premeditazione. C’è solo il sole bruciante, la luce accecante, il calore soffocante che lo travolge, quasi come se il suo dito avesse premuto il grilletto da solo. Da quel momento in poi, la sua condanna è già scritta. Ma non sarà giudicato solo per l’omicidio: il vero processo è quello alla sua intera esistenza. In tribunale, gli viene rinfacciato di non aver pianto al funerale della madre, di aver vissuto con leggerezza, di non aver mostrato pentimento. Il suo crimine più grande è non essersi adeguato alle regole non dette della società. Il mondo non gli perdona di essere uno “straniero”, di aver guardato la vita con un distacco che agli altri appare inumano. Ma è davvero lui l’estraneo, o lo sono quelli che si aggrappano disperatamente a significati fittizi pur di non guardare in faccia il vuoto? “Lo Straniero” è il romanzo dell’assurdo. Meursault non è un uomo malvagio né ribelle: è semplicemente un individuo che accetta l’assenza di significato della vita e si rifiuta di fingere sentimenti che non prova. Camus elabora nel romanzo la sua teoria dell’"assurdo": l’uomo cerca disperatamente un senso nell’universo, ma l’universo è muto, indifferente alle sue domande. Meursault incarna questa condizione: non è né eroe né antieroe, ma un uomo che accetta la vita così com’è, senza illusioni. E alla fine, Meursault accetta anche la sua condanna. Non con disperazione, non con rabbia. Solo con la consapevolezza che tutto è già scritto, che non c’è niente di straordinario nella morte, così come non c’è niente di straordinario nella vita. Nell’ultima pagina, in uno degli epiloghi più intensi della letteratura, accoglie il suo destino con una serenità spiazzante, quasi liberatoria. L’universo, nella sua indifferenza, lo accoglie come lui ha sempre accolto la vita: senza paura, senza illusioni. “Lo Straniero” è un libro che ferisce, perché ci mette di fronte a una verità scomoda: il mondo è indifferente a noi tanto quanto noi lo siamo a lui. Non c’è un significato nascosto, nessuna giustizia ultima, nessun senso prestabilito. Esistiamo e basta. Ed è proprio in questa consapevolezza che Meursault trova la sua libertà. Forse è questo che rende il romanzo così potente, così destabilizzante: ci costringe a guardarci dentro, a chiederci quanto delle nostre emozioni sia autentico e quanto sia solo un riflesso di ciò che gli altri si aspettano da noi. E, nel farlo, ci lascia addosso un senso di vertigine difficile da scrollarsi di dosso.
S.M. IB Liceo Classico
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