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Palahniuk - Violenza su pagine e schermi

Chuck Palahniuk è conosciuto dal grande pubblico soprattutto per le due magistrali trasposizioni cinematografiche tratte dai suoi romanzi: “Fight Club” e “Soffocare”. Chuck Palahniuk porta con sé l’ormai perduto e da sempre sacro dono della libertà d’espressione: quell’intoccabile diritto alla scrittura, soprattutto se romanzata, capace di spiegare le viscere dell’animo umano sputando parole di violenta verità.


Nel caso di “Fight Club”, il romanzo, pubblicato nel 1996, vendette ‘solo’ 5 milioni di copie, e anche una volta adattato al grande schermo da David Fincher non entusiasmò subito. Il film si rivelò quindi inizialmente un fallimento totale, con perdita di investimenti e posti di lavoro. Fu solo quando la FOX intervenne, lanciando sul mercato il DVD in alta qualità, che l’opera cominciò ad acquisire a poco a poco tutto il merito e il valore che le spettano di diritto.

“Fight Club” risveglia le ombre di un inconscio assopito, una ninna nanna dell’anima in cui i fantasmi di persone-simbolo incarnano perfettamente gli stereotipi dell’american dream nella sua manifestazione più patologica e travolgente.

Non è un segreto che in “Fight Club” ci sia una sorta di biografia di Palahniuk, rivestita di tutta la rabbia provata dall’autore quando era un operaio di Portland e la scrittura gli sembrava un miraggio. L’istinto creativo di Palahniuk incontra la geniale intuizione registica di David Fincher, in uno dei pochissimi esempi in cui pagine e grande schermo non solo vanno d’accordo, ma anzi si esaltano e si stimolano a vicenda.

Uno degli scrittori più ossessionati dalla verità delle cose incontra il mezzo per antonomasia che espone e mette a nudo la realtà. Ecco il connubio fra cinema e letteratura di Palahniuk, ecco l’enorme paradosso che prende vita, forma, cresce potente e indomabile. Ecco il capolavoro.


Per quanto riguarda invece “Soffocare”, il romanzo esce nel 2001, mentre l’adattamento cinematografico diretto da Clark Gregg nel 2008. L’opera acceca lo spettatore di una luce complessa e contorta trasmessa tramite il protagonista stesso, Victor Mancini, un ex studente di medicina e dipendente dal sesso che sembra inserire il lettore in un libro tascabile e portarlo con sé in tutta la sua malsana intimità. Il protagonista escogita uno stratagemma per pagare le spese della madre in clinica, fingendo di soffocare ogni volta che esce a mangiare. Qui il tema dei sensi di colpa dell’uomo si veste di tutto il peccato originale di cui la nostra società è intrisa.

Palahniuk in “Soffocare” dipinge a parole la follia in tutte le sue sembianze. La follia nella vecchiaia, nel ruolo genitoriale e in quello di figlio. La pazzia che prende forma nell’istinto animale in base al quale l’essere umano è sempre molto più carnefice che vittima reale.

C'è dello spettacolare se pensiamo che una delle differenze cruciali tra cinema e letteratura è che chi legge è già in qualche modo formato. Chi si avvicina a un certo tipo di romanzo sa cosa va cercando, è preparato. Il cinema non dà questo vantaggio. Al cinema entri al buio. Un trailer non ti racconta mai la verità, non ti prepara mai davvero a quello che vedrai. Il trailer è fatto per attirare le mosche verso la luce. E noi siamo tutti mosche.

“Soffocare” è un’opera di devastante narcisismo e divorante dipendenza che ci porta fino al punto estremo di sopravvivenza agli agenti esterni della vita.

“Soffocare”, il film, è una trasposizione comprensibilmente debole, dal messaggio ambiguo rispetto al pugno in faccia del libro. Palahniuk ha descritto il film riportando una frase del suo libro:

 

“Io ho bisogno che qualcuno abbia bisogno di me, ecco cosa. Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.”

 

Con questo intervento Palahniuk ha voluto riferirsi alla diversità fra letteratura e cinema: una ha bisogno dell’altra e viceversa. Ma ci sono esempi per i quali le parole hanno una potenza estrema e sono le immagini a desiderare il loro aiuto, per poter prendere senso sul grande schermo.

Comunque sia, sono capolavori della letteratura, diamanti cinematografici e perle preziose, arroganti e disturbanti esempi di vita. Da leggere, da guardare e da vivere.

V. C.

IVB Ginnasio

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