QUANTA CURA… NELLA CURA?!
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Un mondo iperconnesso, quello di
oggi, nel quale tutti possono sentirsi (o almeno credersi) più vicini agli
altri, più partecipi in ogni attività più o meno “social”, informatissimi su
qualsiasi questione; dove le distanze vengono azzerate, come parallelamente
cambia il concetto di spazio personale. Quel “non-luogo” che viene
continuamente ridisegnato e plasmato non solo con l’evolversi della persona,
con il progredire dell’età e dei mutamenti nelle proprie necessità, ma anche (e
oggi come non mai) con il rapido cambiamento che la tecnologia, in primis, sta
operando ad ogni livello della società.
Complici due lockdown e,
probabilmente, le svariate quarantene cui siamo stati, e tutt’ora siamo,
sottoposti in caso di necessità, nessuno si sentirebbe più di proclamare a
spron battuto, ergendo tale vessillo come bandiera sul campo di battaglia, che
la tecnologia è “inutile se non dannosa”. Né di bollare come definitivamente
“negativo” il mondo sul piccolo schermo. Perlomeno, magari continuando a
pensarlo sotto qualche aspetto (e senza ammettere che ciò non sia vero in senso
assoluto), forse ci si soffermerebbe un po’ di più a riflettere sulle svariate
implicazioni di un’affermazione piuttosto semplicistica e riduttiva quale,
senza dubbio, questa è.
Ma appurati i suoi innegabili
vantaggi e potenzialità, essendo la dimensione online presente ormai nella
quasi totalità delle nostre azioni quotidiane… come si collega, con l’universo
di possibilità che ci apre davanti, ai ritmi biologici e alle relazioni della
vita umana?
Primaria possibilità che il mondo
digitale ci offre è quella di velocizzare enormemente ogni nostra azione. È di
fatto vero che, oggi, “basta un click per ottenere tutto ciò che si vuole”:
dall’accesso ad infinite risorse digitali, all’accendere la luce del salotto
senza dover alzarsi dal divano… Aaah, le meraviglie del Bluetooth! Oppure trovare ogni genere di prodotto,
spesso a prezzo scontato, proveniente da una qualsiasi parte del globo e
prontamente recapitato a casa propria, al più nel giro di una settimana. Per
non parlare delle relazioni “digitali”: che sia con il vicino della porta
accanto, cui quasi si chiede il numero di telefono e l’account Instagram ancor
prima del nome, o con un proprio caro trasferitosi in una landa del Tibet,
quanto sono comode e, non neghiamolo,
fondamentali ormai in ogni campo, sia lavorativo, scolastico o puramente
personale.
Quali gli effetti di questa
rapidità e immediatezza? Di quest’avere sempre tutto, letteralmente, a portata
di mano? Quel motore di ricerca, incredibilmente più complesso e assolutamente
naturale, che è la nostra mente, così iper-stimolata, avverte una necessità
impellente di fare, fare, senza un attimo di interruzione… Fare cosa? Di tutto:
dai compiti alle più diverse attività di svago, dal lavoro d’ufficio
all'aggiornare gli indispensabili profili social. E così via. Svolgere spesso
molte di tali attività per il semplice gusto di fare qualcosa, e subito. È
semplice perdersi in una dimensione in cui tutto è già pronto, dove spesso si
gioca a fare gli “avatar” di sé stessi.
Una delle perdite più dannose
diventa così la cura che poniamo proprio nel fare le cose. Il che non significa
solo non dedicarvi più la dovuta attenzione, ma proprio perdere il vero
interesse di farle; senza un motivo di fondo abbastanza saldo che sproni ad
agire per qualcosa, tutto rischia di diventare incredibilmente monotono e
piatto. Il che dà avvio ad una serie di reazioni a catena per cui, a volte,
dopo ore spese davanti al PC o allo schermo del telefonino, viene da domandare
a sé stessi: ma che sto facendo? Perdendo completamente cognizione del tempo e
del motivo iniziale per cui avevamo cominciato, magari, a navigare in rete…
Come quando si entra in una stanza con l’idea di fare qualcosa che prontamente
ci si dimentica di fare, per cominciare una serie di attività del tutto
diverse.
In effetti, la tentazione
esercitata dal mondo digitale e social influisce spesso sul nostro livello di
attenzione nella vita “reale”. Parallelamente quindi, ecco che la cura che
andrebbe applicata in ogni ambito e che dovrebbe guidare ogni nostra azione non
di rado sfuma nella costante necessità di “fare”, che spesso prevale,
scavalcando il bisogno di fermarsi un attimo in più a pensare. È innegabile che
il riporre minor cura nelle cose ci porti anche a una carenza di originalità,
facendoci cadere nella ripetitività, se non nella trascuratezza. Tale tendenza
si sta impossessando di ogni aspetto della vita quotidiana, rendendosi quanto
mai dannosa: esempi? Si pensi all’informazione pubblica. Quando alla mancanza
di cura nel riportare o cercare le notizie si aggiunge la rapidità di
diffusione che queste hanno sul web, risulta evidente come possa essere una
delle principali cause di disinformazione. È inutile girarci intorno, il
discorso è poi sempre lo stesso: avere un certo livello di “attenzione” non
significa solo essere concentrati e consapevoli di ciò che si fa, ma si
riferisce anche al tempo e all’importanza che si attribuisce a una cosa (o a qualcuno)…
Quindi averne cura. Saremo disposti a strappare questo “tempo” dalle nostre
frenetiche e indispensabili attività quotidiane? :)
C. B. IV A Scientifico
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