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Non si parla di politica, si parla di musica


Chiamare questo un periodo movimentato per il nostro paese sarebbe forse un eufemismo; proteste degli agricoltori, manifestazioni su scala nazionale scatenate da diversi avvenimenti, tra cui la recente ondata di morti sul lavoro a Firenze e - in modo decisamente più impattante a livello mediatico, il che potrebbe far emergere un dilemma morale sul quale non voglio soffermarmi per ragion di coesione – gli eventi del recentemente conclusosi Festival di Sanremo 2024. Immersi in un panorama così turbolento e incerto – e ricordiamoci, la nostra situazione è tanto movimentata quanto lo è quella del resto del mondo, basti pensare alle prossime elezioni USA – mi sono chiesta: “sappiamo dove inizia, dove finisce e, soprattutto, cosa rimane della politica?”

MACROPOLITICA E MICROPOLITICA

Quando parliamo di “politica” - composto di pòlis “città” e téchne “arte, tecnica” – ciò a cui ci riferiamo, per definizione, si tratta di una “arte” di prendersi cura di una collettività, che può essere la città, la provincia o lo Stato-nazione, ma anche la scuola, o persino la famiglia, in qualche misura.  Una semplice definizione non è però sufficiente. Per rispondere è opportuno ritornare a Gilles Deleuze e Félix Guattari, i quali, nel loro “Millepiani”, hanno utilizzato due termini per distinguere le due principali modalità in cui la “politica” si rende manifesta, ovvero “macropolitica” e “micropolitica”.

Come intuibile, questi termini si riferiscono a due “modi” di prendersi cura dello Stato; essi scrivono di una “dimensione indispensabilmente somatica e affettiva attribuita all’azione politica e non” (Philosophy Dictionary of Arguments) – entrambe queste parole indicano concetti radicalmente interconnessi tra loro. –Andando a definirli, stiamo in essenza definendo una distinzione tra il fare politica dello Stato e tutti quegli ambiti al di fuori di esso; TV e media, scuola e famiglia, piccoli gruppi organizzati (movimenti), cellule terroristiche. Tutte realtà che, attraverso il loro agire, influenzano e cambiano la macropolitica – il modo “convenzionale” con cui intendiamo la politica; il voto, le relazioni internazionali, l’azione dei 3 poteri. –

Sotto questa premessa possiamo provare a rispondere alla domanda che ci siamo chiesti sopra.

PRE-DEMOCRAZIA

Per capire da dove inizia la politica abbiamo diversi punti da mappare; possiamo pensare a Hobbes, che ci propone un modello di Stato dove il concetto stesso di politica prende la forma di un potere assoluto ed eterno, che si eregge come un gigantesco albero che fa ombra su tutto il creato, oppure a Locke, che in maniera oppositiva al pensatore assolutista ci propone uno Stato liberale, aprendo gli occhi della mente su una nuova era di autodeterminazione dell’individuo, poi evolutasi, circa mezzo secolo più tardi, a una forma perfezionata del sogno ellenistico; la Democrazia.

Democrazia: una parola che ha, ai giorni nostri, assunto una forma trascendentale e al contempo particolarmente immanente; la forma di un dio che alberga nei sogni degli uomini, dal quale la nostra abilità di “prenderci cura dello Stato” deriva. Ma questo dio, ci ama?

C’è un’altra distinzione che è opportuno riprendere prima di continuare, una distinzione elaborata da Émilie Carrière, tra universalità e universalismo.

Per “universalismo”, si dovrebbe intendere l’installazione del condizionato in una posizione incondizionata. […] Se, invece di installare un’identità particolare in una posizione incondizionata, non installassi niente? Invece di installare una nuova identità come ulteriore universalismo, rimarrei senza installazione alcuna.” (Trad. da Émilie Carrière, What Is Wokeness – Ill Will, 2023)

Posta questa base - sicuramente tradendo lo spessore intellettuale di Càrriere – si schiariscono parecchi dubbi sulla manifestazione reale della democrazia che, scadendo appunto da una posizione incondizionata, sia il potere a cui ogni popolo ha diritto: l’autodeterminazione, appare come un particolarismo, sia la democrazia liberale (il solo termine suona contraddittorio) di noi occidentali, che viene installata universalisticamente attraverso la forza bestiale della “ragion di profitto e potere”, detto forse volgarmente.

Siete liberi, votate.

Ci sarebbe molto da elaborare su questa distinzione, ma si tratta di un compito al di fuori delle mie capacità; per questo mi limiterò a consigliare la lettura in prima persona del testo di Carrière sopracitato e a ritornare alla premessa del discorso.

POST-DEMOCRAZIA

Tornando alle premesse da questa distinzione, il quadro attuale risulta piuttosto chiaro: la realtà macropolitica mondiale ha assunto una posizione di indifferenza, indifferenza imposta brutalmente sui popoli, sopprimendo l’azione extra-statale iniziando con l’incoraggiarci all’allontanamento da essa, un incoraggiamento che si diffonde come un virus della mente, citando i Godspeed You! Black Emperor; incoraggiamento che nasce come tale e cresce in repressione, come possiamo vedere tra le nostre dita. Abbandonati dalla ragion di stato, a questo punto rimane solo da chiederci: cosa possiamo salvare? Da che parte possiamo andare? Siamo davvero di fronte alla morte del campo somatico e affettivo di cui Deleuze e Guattari, e prima di loro innumerevoli altri, parlavano?

Aprire questa questione mi pone davanti un altro problema al di fuori delle mie possibilità, ma proverò lo stesso a dare una risposta. La mia risposta è sì, abbiamo abbandonato la politica; quello che non abbiamo ancora lasciato indietro, almeno per quanto riguarda molti e molte di noi, è la nostra tèkne, la nostra arte di avere cura, di attingere al Bene, di volere il Bene. Nelle scuole, nelle strade di Casale, ovunque si vada, si percepisce un desiderio, una tendenza a questo Bene, insita nella nostra stanchezza e nella nostra alienazione, avrebbe detto Marx; un “campo etico condiviso”, quella sensazione comunemente ricevuta nella forma di una lacrima al riaffiorare di ricordi confusi dal vuoto della nostra impotenza. Ricordi che non sono nostri ma nei quali ci troviamo, come ci troviamo nella luce del sole, riflessa da uno specchio d’acqua.

Accogliamo la dipartita e bruciamo tutto il resto, questo è ciò che ci rimane; queste lacrime, rugiada di una foglia cresciuta sulle ceneri della Casa Bianca.  

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