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Hormone Replacement Music Therapy

Dopo aver smesso, qualche mese fa, di pubblicare recensioni di album che affrontano parecchi generi musicali, per dedicarmi alla filosofia e – al contempo – concentrarmi sul mio percorso di transizione, ho iniziato a chiedermi quanto sia importante e che caratteristiche abbia il rapporto tra la cultura musicale di oggi e la transessualità. 

Con mia sorpresa, le due cose sono molto più connesse di quanto avessi mai potuto immaginare; per questo, proverò a circoscrivere brevemente il panorama “trans-musicale” e a riflettere sulla sua forma.

Prima di arrivare allo specifico però, è opportuno aprire una piccola parentesi più generale: in che stato è, adesso, la musica? In cosa, la musica del 2023, differisce dal suono del 20esimo secolo?


A questa domanda risponde Matt Bluemink, pubblicando su Blue Labyrinths (uno zine  di cultura pop e filosofia) un paio di commenti riguardanti il saggio “Ghosts of my life” [(Mark Fisher, 2014.) Nel libro, pubblicato poco prima del suo suicidio, Fisher si interroga su questa precisa questione; tra molte altre, ovviamente.].

 

Bluemink, al contrario di Fisher, è ottimista nel dire che il domani della cultura non è ancora stato totalmente cancellato, facendoci notare il modo in cui la “musica del futuro” si sta insediando nel pop per mezzo della soggettività trans*(trans-femminile, per la precisione); liberando così il mainstream dagli spettri del passato.

 

Esplorando il panorama trans-musicale, però, mi sono resa conto del fatto che anch’esso sia, in un certo senso – forse leggermente più allegorico – infestato dal “vecchio” musicale.

Questa “possessione” appare evidente mettendo agli antipodi di questo contesto culturale i suoi (a mio modesto parere) maggiori esponenti: Sewerslvt e Arca.

 

Due artiste (entrambi ragazze transgender, per la cronaca) che spesso appaiono simili all'orecchio non abituato, ma che in realtà incapsulano perfettamente la potenzialità abissale dei vari binari legati alla condizione trans* (uomo/donna, corpo/anima, io/non-io, reale/virtuale.).

 

In particolar modo, considerando i vissuti piuttosto tragici di Sewerslvt (a.k.a June, o Jvne) che attraversano da entrata a uscita la controcultura di razzismo da scuola media e trasgressività post-hipsterista nell’internet del 2016, salta all’attenzione la dialettica tra il soggetto trans-femminile e il contesto culturale da cui molto spesso si trova costretto a fuggire, compromettendo salute fisica, psicologica e relazionale.

 

Questo conflitto è riflesso tanto nel confronto tra le due producer quanto all’interno della stessa produzione di June, iniziatrice del genere jungle breakcore; un sound confuso, con titoli che spesso si rifanno al cyberpunk thriller giapponese (Neon Genesis Evangelion, Serial Experiments Lain), riempito di percussioni dal feeling bipolare, che simulano un attacco di panico eterno e coprono un sottotesto devastante, molto più simile all’opera di Godspeed You! Black Emperor. Un sottotesto che a tratti emerge, regalando brevi attimi di estasi e trascendenza dall’impotenza di un corpo alieno, assoggettato dalla biopolitica e dalla proprietà privata.

 

Specialmente con il suo ultimo album “We had good times together, don’t forget that”, Jvne dà forma alla disforia di genere. 

Prigioniera del passato, rifiutata sin dal carcere, il futuro plasmerà una via.

 

Se parliamo di Arca, al contrario, parliamo di una produzione molto meno leopardiana, che non punta al futuro ma che avanza portandoselo con sé, come un tumore benigno che si propaga nel corpo del mainstream. Lo si può notare dalle sue svariate collaborazioni con autori del calibro di Kanye West, nel suo disco “Yeezus”, FKA Twigs, Frank Ocean e Lil Uzi Vert, con il suo album più recente “Pink tape”.

 

Arca rappresenta, nella sua discografia come nella sua vita, soprattutto nel modo in cui ha finora documentato il suo percorso di affermazione di genere, senza alcun tipo di interesse per la privacy o la proprietà privata dei mezzi di informazione – oltre all’aggressiva unicità cibernetica delle sue live performance – l’aspetto sociale nella condizione transgender: un incredibile moto rivoluzionario che ogni ragazza trans* mette in atto semplicemente esistendo per sé stessa.

 

L’emersione di figure come Arca, la recentemente defunta SOPHIE, Dorian Electra e simili, conferiscono il prefisso “trans” al neologismo “trans-musicale”, dichiarando guerra a ogni singola sfaccettatura della configurazione culturale del presente: dalla biologia alla musica, dalla linguistica alla filosofia; evidenziando un contesto sociale così debole e invecchiato da non riuscire neanche a portarsi il futuro nella tomba.

M. C.

4B Linguistico

 

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