Nel 5 Novembre di ormai quattro anni fa, i Radiohead hanno pubblicato Kid A Mnesia, una raccolta che unisce “Kid A” e “Amnesiac”, i due dischi che vent’anni prima avevano diviso il pubblico, la critica e probabilmente anche la band.
Dentro ci sono anche degli inediti, frammenti, idee abbandonate: il genere di materiale che per molti gruppi diventa un “bonus disc”, ma che con i Radiohead suona come parte integrante del loro linguaggio.
Con Kid A (2000) i Radiohead scelsero di cambiare la propria direzione di colpo.
Dopo OK Computer, erano diventati la voce di una generazione ansiosa e disillusa, ma non era questo il loro scopo. Così si chiusero in studio, spensero gli amplificatori e fecero un disco che sembrava progettato per respingere chiunque si fosse affezionato a loro.
Niente ritornelli, testi spezzati, elettronica fredda, voci filtrate. Una specie di album anti-Radiohead, scritto dai Radiohead.
L’anno dopo arrivò Amnesiac, registrato nelle stesse sessioni ma con un tono diverso: meno algido, più disordinato, più “umano”, se così si può dire.
Era come se la band stesse cercando di ricordarsi chi fosse, ma solo a tratti, con la stessa lucidità con cui ci si ricorda di un sogno appena svegli.
La critica si divise, ovviamente: qualcuno parlò di capolavoro, altri di pretenziosità assoluta.
Due decenni più tardi, Kid A Mnesia non suona come un disco celebrativo, ma come un modo per tornare su quelle rovine e vedere cosa è rimasto in piedi.
Riascoltandolo oggi, ci si rende conto che quel suono alieno che nel 2000 poteva sembrare in anticipo sui tempi non è mai davvero diventato familiare. Forse per questo l’album funziona ancora: perché descrive un disagio che ormai è permanente.
C’è una certa ironia in tutto questo. I Radiohead, nel tentativo di sfuggire all’idea di essere “importanti”, sono finiti per esserlo ancora di più.
Hanno smesso di voler piacere, e la gente li ha seguiti comunque. Kid A Mnesia celebra proprio quella fase: il momento in cui una band decide che il successo non vale la perdita della curiosità.
Non è un disco per capire i Radiohead, e probabilmente non lo sarà mai.
È un promemoria del fatto che si può fare arte anche restando indecifrabili, un po’ in disparte.
A volte la cosa più coraggiosa da fare, in un mondo che ti chiede di spiegarti sempre, è continuare a non farti capire.
L. T.
2A Classico

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