Basta avere un minimo di esperienza nel mondo videoludico o in quello
dell'animazione giapponese (molto spesso strettamente collegati) per rendersi
conto di una cosa: la "mascolinità" è un tema veramente preponderante
nella miriade di tematiche affrontate da opere di questo genere. Come esempi
principali mi vengono in mente personaggi come Guts di "Berserk", la
rappresentazione in scala 1:1 di ciò che internet definisce "Chad", oppure
Cloud Strife di "Final Fantasy" o Vergil della saga "Devil May
Cry".
Soprattutto grazie al coinvolgimento in prima persona dell'utente, che
distingue il videogioco dalle altre forme di intrattenimento, il mondo
videoludico ci ha regalato, e molto probabilmente continuerà a farlo,
numerosissime interpretazioni di quella che può essere vista come una fantasia
di potere attraverso questa visione della mascolinità.
C'è però un'altra visione del maschio nella cultura pop che costituisce la
faccia opposta di questa medaglia, una rappresentazione molto più articolata,
analitica e profonda; quella che vuole dare una svolta decisiva a questo trend
di fantasie di potere, a volte prive di fondamento narrativo, chiedendo al
lettore o al giocatore: "cos'è che ci rende così? Il "potere" ha
senso?".
E qui sposto il focus su un confronto tra due opere decisamente importanti
per me: il manga "Vagabond" e "God of War" (2018).
[Ndr: Ho giocato solo questo e GOW3, chiedo venia ai fan].
In Vagabond il lettore viene scaraventato bruscamente in un viaggio di
crescita personale del protagonista, Musashi Miyamoto, figura tra l'altro
realmente esistita, attraverso il suo viaggio per diventare "invincibile
sotto ai cieli". [Ndr: Spoiler pesanti da qua in poi].
Arrivati alla fine dell'opera, purtroppo ancora inconclusa e priva di
notizie concrete su un eventuale ritorno, ci troveremo davanti un Musashi
sconfitto, ridotto a fare il contadino in un villaggio sperduto. E' proprio qui
che, dopo innumerevoli rivelazioni ricevute lungo il suo viaggio, il Musashi
trova veramente un senso non solo nella sua esistenza ma nell'essere in
generale, perdonando suo padre e trovando la sua pace interiore, senso che
verrà attualizzato nei suoi insegnamenti, come visto nel "Capitolo
finale", (esposto dall'autore in una mostra nel 2008) poco prima di morire
di vecchiaia nella grotta in cui si rifugiava da piccolo.
Se da una parte abbiamo il viaggio di un uomo per diventare un Dio,
dall'altra, in God of war 2018, siamo coinvolti nella vicenda di un Kratos che
veste i panni di un Dio stanco del suo potere, desideroso di trovare la pace
intrinseca all'esistenza umana dopo una vita passata a commettere atrocità
indicibili sulla cima dell'Olimpo. In quest'opera il giocatore si trova immerso
non in un'epico viaggio di conquista, ma in un introspettivo e profondo cammino
di un padre e un figlio in viaggio per seppellire le ceneri della madre.
Entrambe le opere aprono una nuova prospettiva sulla
"mascolinità", attraverso storie di famiglia e redenzione personale,
che fanno capire molto bene quanto la nostra smania di potere sia molto spesso
la causa della nostra impotenza, e riflettono su come lo scopo delle nostre
vite non sia diventare "veri uomini" o "vere donne"
perpetrando standard di genere binari e oppressivi, ma semplicemente, citando
Kratos, diventare persone migliori.
immagine tratta da: https://www.thalia.de/shop/home/artikeldetails/A1024469597
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