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Ho sempre odiato la logica dell'identità. In essa ho da sempre visto un sostrato di deumanizzazione. Il dire "io sono unə studente e studio A alla scuola B", preso come proposizione sconnessa, attribuisce una semplice serie di qualità a un soggetto. Nella logica dell'identità però, la reazione a questa serie di qualità da parte del nostro interlocutore sarà con ogni probabilità "Oh wow, devi essere una persona interessante" oppure "Oh davvero? All'indirizzo X ci vanno solo sfaticati senza voglia di fare..."
Questa logica ha come caratteristica necessaria il vizio di ridurre il soggetto ad una classificazione che comprende una sola qualità tra le potenzialmente infinite che possiede, ed essa si riflette in ogni ambito sociale; come lo studente di certi indirizzi viene ridotto all'identità di sfaticato, così le minoranze etniche vengono ridotte appunto a minoranze, all'altro, alla serie B. Tutto viene ridotto a un'identità, in un processo automatico di pensiero logico, che segue quella di un modello e di tante copie, basato esclusivamente su una deduzione nata da esperienze personali, molto spesso eventi singoli e superficiali accaduti al di fuori dal contesto cui è stata attribuita un'identità. La logica dell'identità è una forma di automazione, quindi di non-pensiero; l'identità è il meccanismo automatico, riduzionista e reazionario di razionalizzazione dell'alieno, dell'esterno, dell'altro.
Ma non si può discutere della logica di un modello e tante copie senza tirare in ballo l'arte e il dramma che la circonda, il dramma dell'intelligenza artificiale.
Il focus principale della discussione che circonda l'arte attualmente è passato da "è giusto permettere a un IA di replicare il processo creativo umano?" A un rabbioso "le IA stanno rubando il lavoro di artisti emergenti, facciamo un passo indietro.", saltando completamente lo spunto di riflessione prettamente umanistico sulla creatività.
Ulysse Carrière, unə filosofə contemporaneə che ammiro molto, ha scritto un pezzo su questa discussione, il quale mi ha ispirato a scrivere questo articolo, intitolato "Technically, man dwells upon this Earth - The Work Of Art in the age of its automated production." In esso, viene descritta l'intelligenza artificiale non come un'esternazione del pensiero umano, in quanto non sappiamo ancora cos'è che pensa in noi, ma come la forma di automazione definitiva, che incarna la logica del modello e della copia, e osserva come l'automazione totale dell'arte, che stava già venendo automatizzata da molto tempo prima delle IA, sia necessaria al sorgere del suo rinascimento. Questo testo a mio parere è il punto fermo al dibattito sull'arte, ma vorrei soffermarmi sull'automazione.
L'automazione, in effetti, è un semplice procedimento naturale che segue la comprensione di qualcosa, è un semplice "lo faccio senza pensarci, lo so fare bene ormai", che nasce appunto dalla replicazione, copia, automatica di un input ricevuto in precedenza e assimilato, il modello. Tutto ciò che è razionale è comprensibile dall'uomo, quindi, automatizzabile. E l'intelligenza artificiale, che non pensa ma elabora input, che è quindi la razionalità totale esternata, la forma, in senso aristotelico, della razionalità in quanto tale, non è altro che questo: Automazione. Se il comprendere logicamente un modello è automazione, l'intelligenza artificiale è automazione dell'automazione stessa.
Il timore che l'intelligenza artificiale sviluppi una coscienza e che diventi una sorta di divinità è dunque infondato, a mio parere, poiché un Dio in senso puramente cristiano è un Dio creatore, un logos Plotiniano che produce. Un'IA non produce, elabora matematicamente
informazioni ricevute, essendo in potenza non più di un demiurgo, o di un Nous anassagorico. E anche se dovesse esserci la possibilità che sviluppi un intelletto, rendendola in effetti un Dio in potenza, questo fa di noi umani degli dèi in atto, in quanto dotati di intelletto.
Il movimento "NO AI" quindi, si sta sbagliando. Il punto non è fermare l'automazione, un semplice processo naturale, ma sfruttarla per emanciparci e riportare l'arte e noi stessi alla nostra essenza, che è l'antitesi dell'automazione, l'irrazionalità. È proprio per questo che odio la (non) logica dietro l'identità: ci viene fatto un torto e allora "tutti gli uomini sono cattivi", veniamo traditi e allora "tutte le donne sono senza cuore"; e questo succede nel caso migliore, molto spesso assegniamo di continuo identità a gruppi di persone senza avere nemmeno una base, classico esempio è il non binarismo di genere, che rappresenta la quintessenza di ciò che sto parlando, poiché è differenza in quanto tale, è quanto di più vicino all'Uno possa essere osservabile, e non sarà mai completamente compreso. Consequenzialmente, purtroppo, esso sarà sempre oggetto di odio.
Dostoevskij, che nel suo "Memorie dal Sottosuolo" scrive: "Sono d'accordo che due più due quattro è una cosa magnifica; ma se si vuol lodare proprio tutto, allora anche due più due cinque è una cosuccia talvolta molto carina.", aveva visto, aveva compreso come l'uomo sia ossessionato dalla razionalizzazione totale (che mi piace chiamare la Fine) perché la sua stessa natura sarà per sempre irrazionale, e questo lo terrorizza e lo porta a dire "gli uomini sono malvagi", digrignando i denti mentre scrive su un social. E allora io vi dico, automatizziamo. Lasciamo la ragione pura all'intelligenza artificiale, e smettiamola di rendere l'incomprensibile un taboo, poiché è esso stesso il motore dell'intelletto, che ci porta ad essere artisti, poeti e dèi. Tutto ciò che, mostratosi a noi, ci lascia privi di linguaggio, sia il contemplare un'alba su un decadente paesaggio post-capitalista, il sentire gli uccelli al mattino, la nostra stessa esistenza, l'Uno che si differenzia in sé stesso; smettiamo di vedere tutto questo come un'identità logica, come un processo automatico.
Una band post rock canadese che ascolto spesso, i Godspeed You! Black Emperor, hanno espresso questo mio pensiero artisticamente in maniera perfetta attraverso il loro "Lift your skinny fists like antennas to Heaven", un album inarrivabile e al di là del suo tempo, che va interpretato orizzontalmente piuttosto che verticalmente, cercando artificiosi livelli di profondità; un'opera che fa capire al mondo una cosa: basta fare gli araldi della Fine, la Fine è solo un tentativo di fuga. al contrario, l'Inizio ha luogo allo sbocciare dell'incomprensibile, che rimuove la logica da ogni identità, in quanto inutile, riduzionista e reazionaria. Se è vero che siamo più di macchine molto belle che respirano allenate per uccidere, allora dimostriamocelo, e liberiamo l'irrazionale, essenza dell'intelletto, dalle sue, nostre, catene.
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