Passa ai contenuti principali

SPECIALE 25 NOVEMBRE




In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, pubblichiamo una serie di interventi delle collaboratrici della rubrica "Cento passi verso il femminismo", atti a sollecitare nelle lettrici e nei lettori stimoli e riflessioni su un tema più che mai attuale. 


PERSONE E (NON) NUMERI 

Il femminicidio è un fenomeno sempre più comune con il passare degli anni. Donne, ragazze, bambine ogni giorno subiscono violenze fisiche e psicologiche sotto gli occhi di una società che non tutela la loro sicurezza. “Perché sono ancora presenti questi abusi?”. “Com’è possibile che una donna non possa sentirsi sicura nel paese in cui vive?” “Quanto dovremmo aspettare prima che le cose cambino?”.

Domande senza risposta, pronunciate da coloro che sono stanche, e stanchi, di vivere in una realtà tanto crudele quanto ingiusta. Mentre le vittime continuano a porsele mentre ci osservano dall’alto.

Solo pochi giorni fa, nel triste elenco di 106 donne la cui vita, in Italia e dall'inizio del 2023, è stata tolta per mano di un uomo, è entrata lei: Giulia Cecchettin, una ragazza di soli 22 anni, studentessa della facoltà di Ingegneria biomedica di Padova e davanti un luminoso futuro, ora oscurato.

Giulia era scomparsa la sera dell’11 novembre 2023, insieme al suo ex fidanzato, Filippo Turetta. È stata ritrovata senza vita pochi giorni dopo vicino al lago di Barcis; dopo aver tentato la fuga, Turetta è stato arrestato in Germania con l’accusa di omicidio e, dopo il via libera all'estradizione, verrà trasferito in Italia. Dove, probabilmente, arriverà mentre state leggendo quest'articolo. Il 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

C. C. 4 B SCIE


LA MAMMA, È SEMPRE LA MAMMA (MA ANCHE NO)

“Sta cercando di trovare la forza anche lei [Elena Cecchettin], perché come sappiamo non c’era più la mamma, quindi adesso questa ragazza si ritrova a essere l’unica donna di casa a dover accudire il suo papà e il suo fratellino minorenne”.

Queste le parole di un’inviata di Domenica In a Vigonovo (VE) durante il servizio andato in onda il 19 novembre, proprio davanti alla casa di Giulia Cecchettin. Sono le parole di una società intera che non riesce a ripulirsi dalle tracce di cultura patriarcale che ancora la contaminano: una società a cui non passa minimamente per la testa che il lavoro di cura della casa e della famiglia, anche nella peggiore delle circostanze, possa essere diviso e non scaricato tutto sulle spalle del sesso femminile. 

Alle dichiarazioni dell’inviata hanno fatto eco quelle della magistrata Simonetta Matone, la quale, in studio, ha osservato di non aver “mai incontrato soggetti gravemente maltrattati e gravemente disturbati che avessero delle mamme normali”, chiarendo poi che le mamme non normali sono quelle che subiscono i soprusi dei mariti violenti senza reagire, e che fanno vivere i figli in tale clima di terrore facendo loro credere che sia la normalità; in altre parole, a causa della loro condizione di vittime, dalla quale dovrebbero essere in grado di tirarsi fuori, queste mamme non assolvono al proprio compito di educare al rispetto le figlie e i figli. In qualche modo, è sempre colpa delle donne.

Come possiamo arrivare a capire la natura sistemica e patriarcale del femminicidio, se la mentalità dominante è ancora questa?

A. B. 2 A CLASS


PARLA, ASCOLTA, DENUNCIA

Perché non ha denunciato? Perché non se n’è andata? Come ha fatto a non capire che era pericoloso?

Queste domande sono molto problematiche, perché partono dal presupposto che la magica e infallibile soluzione per uscire da una situazione violenta qualsiasi sia quella di denunciare o di “parlarne”. NO. Non è così. Spesso questo mette le donne più a rischio di quanto non fossero prima e/o in una situazione sociale e mediatica molto scomoda. Inoltre, porre alle vittime domande di questo genere non fa altro che colpevolizzarle, mettendole in una posizione di vulnerabilità che non le aiuterà di certo a parlare della propria situazione e a farsi aiutare.

Questo è un tipico caso di victim blaming, molto comune nei processi per violenze (sessuali, fisiche, psicologiche, economiche). Nonostante tutto, se usiamo queste domande per capire la causa che impedisce alle donne di farsi aiutare, possiamo creare un dialogo costruttivo.

Parlare degli abusi subiti è molto difficile. Nell’80% dei casi gli abusi sono attuati da parenti stretti (mariti, compagni o ex). Essi creano una spirale di violenza che convince la vittima di essere incapace, debole e impotente senza il partner. Questo non è l’unico scoglio che si è costrette a superare. Molte delle donne che non denunciano hanno paura di non essere credute, di essere attaccate perché in una situazione di vulnerabilità, di essere nuovamente vittimizzate oppure temono che questo le metta in grave pericolo. Molte donne sono in situazioni in cui una denuncia le porterebbe ad essere a rischio di morte; la maggior parte degli abusatori prende una denuncia come un tradimento. Alcune donne, invece, si sono abituate alla violenza o hanno imparato a gestirla; altre non denunciano per (malsano) “amore” o per sfiducia nel sistema giudiziario. Per queste ragioni, non è strano che solo il 12% delle donne denunci il partner e il 6% denunci altri aggressori.

Su questa base sarà difficile scegliere di denunciare: ma è fondamentale sia per le vittime, sia per le donne che potrebbero esserlo in futuro. I centri antiviolenza supportano direttamente le donne in molti modi. Psicologi e psicologhe e altri professionisti aiutano le donne, ed eventualmente i loro figli, ad uscire da una relazione tossica in sicurezza, o ad affrontare i traumi psicologici (e non) di una violenza. Da parte nostra, però, quando una donna ci racconta di una violenza subita, aiutiamola a parlarne attraverso le giuste domande. Ci sono molti modi per aiutare le donne vittime di violenza. Iniziamo ascoltando le loro storie, partendo dal presupposto che siano vere, e incolpando il vero responsabile.

D. C. 4 A GINN - CLASS


UN PASSO INDIETRO

Oltre all'impostazione dell'incontro concordato fra l'assassino e la sua ex fidanzata e i diversi indizi che suggeriscono una premeditazione da parte di Turetta (il denaro che il ragazzo portava con sé, il coltello, i sacchi neri e il nastro adesivo ritrovati), ad aver scatenato la furia omicida potrebbe essere stato l'approssimarsi della laurea di Giulia Cecchettin, il giorno 16 novembre.

Elisa Camerotto, zia della vittima, ha raccontato: «Lui non era contento che Giulia si laureasse domani, perché temeva che si potesse allontanare da lui», lui che stava seguendo lo stesso percorso di laurea, ma frequentando il terzo anno.

Questa dinamica non è stata semplice competizione o semplice invidia, non un "perché quella che mi ha lasciato sta per raggiungere un traguardo importante, io devo vendicarmi". I motivi vanno rintracciati molto più in profondità. La laurea rappresenta una tappa verso l'emancipazione, la persona che la consegue può sentirla anche come un traguardo della propria maturità, un merito che si porterà dietro per tutta la vita. Una fidanzata che soddisfa le insicurezze maschili non può permettersi tutto ciò. La fidanzata del patriarcato è la fidanzata della rinuncia e dell'abbandono di sé al proprio ragazzo, che rassicura continuamente che no, non lascerà mai il suo partner, e lo dimostra chiudendosi delle porte. La possibilità di mantenersi da sola e proseguire con la sua carriera, dedicarsi a impegni lavorativi importanti, magari anche trasferendosi, non può che far paura a una persona che non ha maturato le capacità relazionali necessarie ad attenuare le proprie insicurezze personali e porre fiducia nell'altra.

La differenza, però, tra i "semplici" problemi psicologici legati all'abbandono che tutti possono sviluppare e ciò che ha portato al femminicidio di Cecchettin, si rileva in ciò che troppi uomini come Filippo Turetta ritengono una soluzione, come scelgono di gestirli: il controllo dell'altra, cioè la mancata assunzione delle proprie responsabilità, riversando sulla partner la “colpa” di spiccare il volo senza aspettarlo invece che impegnarsi, sforzarsi al massimo, fare dei sacrifici tanto quanto lei. Insopportabile per Filippo ricevere un colpo all'orgoglio tale per cui la sua identità maschile non venisse esaltata e non ne fosse confermato il ruolo dominante di "provider" nella relazione, o addirittura che lasciasse in discussione la possibilità di essere dimenticato da lei, con una netta conclusione dei buoni rapporti successivi alla rottura della relazione.

Insopportabile al punto da avere l'arroganza di fare questa richiesta a Giulia, quando ancora i due stavano insieme, secondo il racconto della sorella: «Un episodio molto allarmante, che aveva allarmato Giulia ed è stato il motivo per cui lei ha rotto con lui la prima volta fu verso febbraio-marzo quando lui (Filippo Turetta, ndr) le disse ‘Dovresti fermarti con gli esami e dare una mano a me perché non possiamo non laurearci insieme’. Come se si dovesse vivere in simbiosi, come se uno dei due non dovesse emergere, come se ci fosse una ferita di qualche tipo solo perché la tua ragazza si laurea qualche mese prima di te.

M. F. 4 A SCU


DOVE ABBIAMO SBAGLIATO?

«Abbracciatevi anche per me», scrive Elena Cecchettin nella didascalia di una foto che ritrae la sorella Giulia da piccolina al fianco della mamma Monica. «Vola tra le braccia della tua mamma», recita uno dei primi bigliettini lasciati di fronte alla casa dei Cecchettin. Madre e figlia torneranno insieme, a riposare per sempre l'una a fianco all'altra nel cimitero di Saonara (Padova). Questo è quanto deciso dalla famiglia: posare la tomba di Giulia accanto a quella della mamma Monica Camerotto, scomparsa a 51 anni, a ottobre dello scorso anno, in seguito a una lunga malattia.

Elena e Gino Cecchettin rimangono soli. Soli nel giorno in cui Giulia avrebbe ricevuto la laurea, soli davanti ai giornalisti, alla tragedia, e soli davanti alla famiglia del carnefice, Filippo Turetta. C'è dolore da entrambe le parti. Turetta ha scritto all'altro esprimendogli la "massima partecipazione al suo dolore" aggiungendo che il figlio "dovrà pagare per quello che ha fatto", e domenica sera Nicola Turetta e la moglie Elisabetta Martini hanno partecipato, in una posizione defilata, alla fiaccolata per Giulia, scoppiando poi a piangere al telefono con lo zio della vittima, chiedendo perdono.

«Dove abbiamo sbagliato?», si chiedono i genitori dell'assassino.

«Non siamo talebani. Non ho mai insegnato a mio figlio a maltrattare le donne. Ho il massimo rispetto di mia moglie e in casa abbiamo sempre condannato apertamente ogni tipo di violenza di genere. Vederci descrivere come una famiglia patriarcale ci addolora molto», dice Turetta. «Proviamo un immenso dolore per la povera Giulia. Siamo vicini alla sua famiglia, siamo devastati per quello che è accaduto. Ci fa male vederci additare come genitori inadeguati, come una famiglia simbolo del patriarcato. Non lo siamo mai stati, non è quello che abbiamo insegnato a nostro figlio. Anzi, parlavamo spesso in casa di questi temi, soprattutto quando i ragazzi partecipavano agli eventi organizzati dalla scuola...ora, non sappiamo davvero darci una spiegazione».

La spiegazione di questo femminicidio prova a darla la Dottoressa Vittoria Maioli Sanese, psicologa e fondatrice del consultorio familiare UCIPEM.

I giornali scrivono che è figlio del patriarcato, ma lei non concorda: «Un ragazzo così giovane e possessivo non è figlio del patriarcato, ma, come molti, figlio del narcisismo. Lavoro con molti genitori e insisto da tantissimi anni su questo aspetto: quello del figlio guardato, concepito, riconosciuto, come funzione propria. Il figlio bravo, perfetto, riuscito perché se così non fosse “significa che noi abbiamo sbagliato tutto”. Questo narcisismo che diventa intollerabilità del proprio limite, intollerabilità della frustrazione, perfino di avere un figlio che ha un po’ di problemi, consegna al genitore un’idea di figlio assolutamente fuori dalla realtà. Un figlio pensato “come dovrebbe essere” che soppianta il figlio reale da conoscere, da capire, e soprattutto da aiutare. Io non credo che questo sia frutto del patriarcato, ma di un estremo narcisismo. Molto, molto presente oggi. Tant’è vero che si manifesta con la “protezione totale” che si ha verso i bambini fin da quando sono molto piccoli, il sentimento meno genitoriale che possa esistere.

V. C. 5 B GINN - CLASS


DIETRO LA RETORICA DEL #NOTALLMAN

“Not all men”, “non tutti gli uomini”: una frase apparentemente innocua, una semplice presa di posizione personale che alza, ancora e ancora per l’ennesima volta, un piedistallo dorato pregno della stessa indifferenza sotto la quale sprofondano i nostri cadaveri.

Con questa premessa, è opportuno chiedersi che ruolo abbia questa “dichiarazione di soggettività” (i.e. “io sono un uomo diverso da quei mostri, io penso per me stesso e non mi farei mai trascinare dalle mie emozioni/dagli amici/dall'alcool ecc.”) oggi 25/11/23.

All’indomani del femminicidio di Giulia Cecchettin, estrapolare una risposta dai movimenti che stanno seguendo il fatto non è sicuramente facile; facendo però un confronto con il passato, e tenendo in sacrosanta considerazione le parole e la rabbia della sorella Elena, possiamo arrivare a dire che finalmente le cose stanno iniziando a prendere una piega diversa.

Questa frase ha iniziato a perdere la sua potenza di difesa intoccabile che appare come unica certezza in ogni dibattito sull’argomento, da muraglia inespugnabile si sta trasformando in un simbolo, cooptabile dalle posizioni femministe. E a questa se ne aggiungono molte altre; frasi fatte come “ha sempre fatto caldo d’estate e freddo d’inverno”, o in caso di guerra “c'è un invaso e un invasore”, stanno perdendo il loro potere di chiudere qualsiasi dibattito soprattutto grazie alla memetica, che le ha trasformate in strumenti di lotta.

Curioso come questo stia avvenendo in un periodo storico caratterizzato dall'avanzata dei populismi di estrema destra.

R. C. 4 B LING


Commenti

Post popolari in questo blog

“Dica pur chi mal dir vuole. Noi faremo e voi direte”. Canzone delle Cicale

Immagine tratta dal sito: https://pixabay.com/it/vectors/cricket-insetto-cavalletta-pest-47470/ Le fanciulle:  Donne, siam, come vedete,  giovanette vaghe e liete.  Noi ci andiam dando diletto,  come s’usa il carnasciale:  l’altrui bene hanno in dispetto  gl’invidiosi e le cicale;  poi si sfogon col dir male  le cicale che vedete.  Noi siam pure sventurate!  le cicale in preda ci hanno,  che non canton sol la state,  anzi duron tutto l’anno;  a color che peggio fanno,  sempre dir peggio udirete.   Le cicale:  Quel ch’è la Natura nostra,  donne belle, facciam noi;  ma spesso è la colpa vostra,  quando lo ridite voi;  vuolsi far le cose, e poi ...  saperle tener secrete.  Chi fa presto, può fuggire  il pericol del parlare.  Che vi giova un far morire,  sol per farlo assai stentare?  Se v’offende il cicalare,  fate, mentre che potete.   Le fanciulle:  Or che val nostra bellezza, se si perde per parole?  Viva amore e gentilezza! Muoia invidia e a chi ben duole!  Dica pur chi mal dir vuo

BISOGNA COLTIVARE IL NOSTRO GIARDINO” Candido, Voltaire

Immagine tratta dal sito: https://pixabay.com/it/photos/zen-giardino-meditazione-monaco-2040340/ Questa citazione un po' enigmatica, è tratta dal libro molto celebre di Voltaire e riguarda un tema che ancora oggi suscita in noi tante domande: le stesse alle quali Candido, il protagonista, si era trovato a rispondere... nel romanzo vengono contrapposte le idee di due personaggi che simboleggiano  l' eterno scontro tra bene e male: Pangloss, il primo personaggio, aveva un'idea completamente ottimistica del mondo e delle persone, la quale è raccontata in chiave satirica dallo scrittore, in quanto al personaggio che professa questa dottrina e a tutti gli altri, capitano atroci disavventure e catastrofi naturali. L'asserto è così astratto e utopico, da non poter combaciare con il mondo reale e il male che vi è insediato. Questo concetto è ripreso dal manicheo (pessimista) Martin che, contrariamente a Pangloss, pensa che il mondo sia dominato interamente dal male, sia fisico

“Ho sognato che il cervo illeso chiedeva perdono al cacciatore deluso”

Immagine tratta da: https://pixabay.com/it/photos/cervo-dollaro-mattina-natura-1082318/ Questa citazione è tratta da “libro dei sogni” di Jorge Luis Borges; uno scrittore, poeta e filosofo argentino, ritenuto uno degli autori più importanti e influenti del secolo scorso. Tra le sue innumerevoli opere scrive anche il Libro dei sogno .  Quest’opera è una silloge di 113 racconti, citazioni e storie con protagonista il sogno. Ogni storia è indipendente dall’altra e la sua particolarità è che si possono incontrare tra i più vari autori e frammenti di opere già esistenti. Si passa da Ungaretti ad Alfonso X di Castiglia, da Kafka a Caedmon, da personaggi biblici a quelli completamente inventati andando così a formare una specie di enciclopedia su questo meraviglioso e misterioso mondo dei sogni.  Proprio per questa caratteristica che ha, sembra essere una sorta di antologia mancata senza le contestualizzazioni e  le spiegazioni da parte dell’autore. Tocca, infatti, al lettore dargli un signif