Infatti, è bene chiarire che lə femministə non si battono per l’elevazione della donna a una posizione di comando rispetto all’uomo: questa sarebbe una situazione altrettanto sbilanciata, in cui l’oppressione passerebbe da un genere all’altro senza cambiare di entità e seminando la stessa ingiustizia e lo stesso malcontento. La radice del nome (femmin-) di quello che ad oggi è ancora un movimento impopolare e mal interpretato deriva quindi dalla categoria di persone che al momento si trova in svantaggio, e che, legittimamente, esige ascolto e provvedimenti. E per essere ascoltate da un sistema che le annichilisce attraverso politiche fintamente favorevoli o apertamente sfavorevoli, prevaricazione fisica, frasari sconvenienti eppure consolidati, queste persone non possono far altro che sottolineare con perseveranza la loro presenza e la loro dignità, a partire dall’ambito della lingua.
Chiarito ciò, lo stereotipo della cosiddetta nazi-femminista perde inevitabilmente di senso. La donna perennemente insoddisfatta, scorbutica, sostenitrice di cause inventate a cui moltə pensano quando sentono nominare il femminismo è in realtà una donna (o un uomo, o una persona di genere non binario) insoddisfatta del sistema, che critica con cognizione di causa, determinata ad autodeterminarsi e a risvegliare le coscienze ottenebrate dal sistema stesso, affinché collaborino con lei e fra loro per la realizzazione di un miglior equilibrio sociale. Occorre quindi mettersi in discussione, studiare la storia e l’attualità, guardarsi attorno e riconoscere di aver spalleggiato il sistema, seppur non intenzionalmente. Capita a tuttə, almeno una volta. In fondo il ragionamento patriarcale ci viene inculcato a partire dall’infanzia, quando, banalmente, ci vengono regalati giocattoli di un certo tipo in base al nostro sesso (giocattoli inerenti alla cura dei figli e della casa per le bambine, giocattoli inerenti al mondo automobilistico e ai supereroi per i bambini). Occorre ascoltare ciò che lə femministə hanno da dire, anziché crogiolarsi nel proprio privilegio e nell’indifferenza, via indubbiamente più semplice.
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