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Che cos’è (davvero) il femminismo?



Chiamare il femminismo "movimento” lo allontana dall'interesse di molte persone, che finiscono per percepirlo come uno spazio riservato a un ristretto gruppo di aderenti. Sarebbe più corretto definire il femminismo atteggiamento sensibile e attento, posizione che è necessario prendere per realizzare un’effettiva parità dei sessi e contrastare una serie di oppressioni che possono intersecarsi con quella ai danni delle donne. Si pensi, ad esempio, a quegli uomini considerati non abbastanza virili perché hanno abitudini e atteggiamenti associati comunemente (ed erratamente) al sesso opposto. Alla base di questa dinamica c’è un problema sistemico: il retaggio culturale di secoli e secoli di predominanza maschile. Così, l’uomo che dimostra sensibilità, fragilità, scarsa attitudine alla leadership e interessi quali la moda, le discipline umanistiche e artistiche, la danza, viene automaticamente "declassato" a femminuccia, cioè a ragazza, a donna. Ciò dimostra che un filo sottile collega il patriarcato a molteplici oppressioni, anche se non cogliamo immediatamente tale nesso, e che il femminismo non è affatto una manifestazione di rabbia immotivata da parte di donne (e solo donne) nei confronti del genere maschile in quanto tale.

Infatti, è bene chiarire che lə femministə non si battono per l’elevazione della donna a una posizione di comando rispetto all’uomo: questa sarebbe una situazione altrettanto sbilanciata, in cui l’oppressione passerebbe da un genere all’altro senza cambiare di entità e seminando la stessa ingiustizia e lo stesso malcontento. La radice del nome (femmin-) di quello che ad oggi è ancora un movimento impopolare e mal interpretato deriva quindi dalla categoria di persone che al momento si trova in svantaggio, e che, legittimamente, esige ascolto e provvedimenti. E per essere ascoltate da un sistema che le annichilisce attraverso politiche fintamente favorevoli o apertamente sfavorevoli, prevaricazione fisica, frasari sconvenienti eppure consolidati, queste persone non possono far altro che sottolineare con perseveranza la loro presenza e la loro dignità, a partire dall’ambito della lingua.


Chiarito ciò, lo stereotipo della cosiddetta nazi-femminista perde inevitabilmente di senso. La donna perennemente insoddisfatta, scorbutica, sostenitrice di cause inventate a cui moltə pensano quando sentono nominare il femminismo è in realtà una donna (o un uomo, o una persona di genere non binario) insoddisfatta del sistema, che critica con cognizione di causa, determinata ad autodeterminarsi e a risvegliare le coscienze ottenebrate dal sistema stesso, affinché collaborino con lei e fra loro per la realizzazione di un miglior equilibrio sociale. Occorre quindi mettersi in discussione, studiare la storia e l’attualità, guardarsi attorno e riconoscere di aver spalleggiato il sistema, seppur non intenzionalmente. Capita a tuttə, almeno una volta. In fondo il ragionamento patriarcale ci viene inculcato a partire dall’infanzia, quando, banalmente, ci vengono regalati giocattoli di un certo tipo in base al nostro sesso (giocattoli inerenti alla cura dei figli e della casa per le bambine, giocattoli inerenti al mondo automobilistico e ai supereroi per i bambini). Occorre ascoltare ciò che lə femministə hanno da dire, anziché crogiolarsi nel proprio privilegio e nell’indifferenza, via indubbiamente più semplice.


A. B. II B Classico

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