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Mamme o bambine?


 

L'Europa: un'area progredita dell'emisfero nord, meta per tante persone che vi cercano rifugio, scappando da fame e guerre. Eppure anche nel Vecchio Continente, nella civile Europa, vi sono realtà difficili, sacche di povertà e di disagio socio-culturale, e a farne le spese sono spesso giovani e bambini. Accade, ad esempio, in Romania, paese Ue dal 2007, che vanta il triste primato delle baby-mamme.

Secondo un rapporto realizzato da Save the Children, il paese si piazza al primo posto in Europa per numero di mamme di età inferiore ai 15 anni (quasi 750 parti all'anno), e al secondo, dopo la Bulgaria, per numero di mamme di età inferiore ai 19 anni. Quasi il 10% dei parti totali avvengono sotto i 19 anni. In base a questi dati, un quarto delle mamme minorenni dell’UE sono in Romania.

Si tratta perlopiù di ragazze provenienti da contesti di grande povertà materiale ed educativa, contesto che influisce drammaticamente sul percorso della gravidanza, esponendo a gravi rischi sia le gestanti che i nascituri. Solo il 52% delle adolescenti incinte fa gli esami raccomandati dal medico di famiglia: ciò è dovuto al fatto che, abitando in zone rurali, le ragazze dovrebbero spostarsi in città per essere seguite da uno specialista, ma questa si rivela una necessità troppo dispendiosa. Così facendo, però, le giovanissime puerpere vanno incontro a problemi di salute (anemia, depressione, emorragie) che si ripercuotono sul feto, come parti prematuri, mortalità infantile, malformazioni alla nascita o ritardi nello sviluppo. Inoltre, il tasso di vaccinazione tra i bambini nati da madri adolescenti è del 10-20% inferiore rispetto a quello tra gli altri bambini.

È evidente che maternità così acerbe mal si conciliano con una formazione regolare, facendo impennare in modo drammatico il tasso di abbandono scolastico: l’83% delle ragazze madri non frequenta alcun istituto, il 64% ha abbandonato gli studi prima di rimanere incinta. Solo il 36% delle ragazze madri ha la scuola media, mentre il 7% ha finito le superiori.

A ciò si aggiunge il fatto che in Romania è sempre più complicato abortire. Rispetto alla legge introdotta nel 1989 (all'indomani, dunque, della caduta del regime di Ceaușescu), interrompere volontariamente la gravidanza è diventato quasi impossibile, sia a causa delle forti pressioni delle associazioni pro-vita e della chiesa ortodossa, sia perché il personale medico – talvolta obbedendo a direttive illegali degli ospedali – si trincera dietro la "clausola di coscienza" per rifiutare questa operazione. Dopo un decennio - gli anni '90 - in cui i corsi di educazione sessuale e i programmi di pianificazione familiare per la contraccezione erano in piena espansione, si è assistito progressivamente ad una riduzione dei diritti di autodeterminazione delle donne rumene.

Sembra quasi di essere regrediti alla situazione narrata nel film “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”, Palma d'oro a Cannes nel 2007, storia – ambientata ancora al tempo della dittatura – che narra le peripezie di due studentesse alla ricerca di un medico che potesse praticare un aborto – all'epoca ancora clandestino e illegale - ad una delle due.


S. F. 2 A CLA

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