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LE OPERETTE MORALI

 

-Le Operette Morali-

-Giacomo Leopardi-





“Ne ho scritte una ventina. Le intitolerò “Operette Morali”.”

“Di morale non c’è nulla…”

“Appunto!”

Così diceva il giovane Leopardi nella nuova miniserie riguardante la sua vita ed il suo pensiero.

Pensando a questo grande poeta si pensa solo all’”Infinito”,a “Il sabato del villaggio” o ad “A Silvia”, i suoi componimenti poetici più famosi. Riguardo alle sue prose si dice poco o nulla, ahimé. Ebbene, spero che in questo breve articolo riuscirò ad incuriosirvi abbastanza riguardo questo libro.

    Le “Operette Morali” sono composte da ventiquattro prose che Leopardi scrisse nel periodo che viene ricordato con il nome di seconda erudizione, ovvero il periodo in cui smise di scrivere poesie e si dedicò alla filosofia. Vennero scritte tra il 1824 e il 1831 (cinque anni dopo il suo soggiorno a Roma con gli zii Antici, che si rivelò per lui un’esperienza ai fini del traumatico) e vennero pubblicate a Firenze nel 1834.

    Si dedicò quindi al “vero”( la filosofia) abbandonando momentaneamente il “bello”( ovvero la poesia). Riprese successivamente a scrivere poesie a seguito del suo soggiorno pisano.

    Queste Operette sono scritte, per quanto riguarda la maggior parte dei casi, sotto forma di dialoghi tra esseri umani realmente esistiti, elementi della natura o dèi della mitologia greca.

    Non ci sarebbe il tempo né lo spazio per approfondirle una ad una; direi di concentrarsi su una di queste (ovvero la mia preferita n.d.A…).

    La penultima operetta è un dialogo: il “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere”. La scena si apre con la figura del venditore, che espone la sua merce e la presenta ai passanti. Sopraggiunge allora un uomo che domanda al nostro venditore se l’anno che verrà sarà più felice di quello passato. Ha via così una semplice conversazione che potremmo riassumere con una delle prime domande del passeggere, “Non tornereste voi a rivivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che siete nato?” Il venditore afferma che lo farebbe, ma l’uomo specifica che rivivere tutti gli anni significa anche riviverne le gioie e i dolori. Allora l’uomo si fa titubante. Alla fine si arriva alla conclusione che non v’è stato nessun anno senza alcun dolore che sarebbe piacevole ripetere per intero, e che con l’anno nuovo “si principierà la vita felice”. La scena si chiude con il passeggere che compra un almanacco e il venditore ricomincia a fare ciò che stava facendo prima della loro conversazione.

    Questo rapido dialogo, che potrebbe sembrare banale, è in realtà denso di significato. Il venditore rappresenta l’opinione comune, mentre il passeggere l’uomo che si discosta dall’opinione comune e punta al vero. A parer mio l’uomo potrebbe essere Giacomo stesso… L’uomo innesca, attraverso le sue battute, nel venditore, il dubbio che forse nessun anno sia stato talmente positivo da meritare di essere vissuto nuovamente.

     Se analizziamo il dialogo notiamo come cambia il registro dei personaggi. Dapprima sono entrambi positivi. La negatività viene impercettibilmente introdotta dall’uomo, che pian piano perde sicurezza e ossequiosità nei confronti del suo interlocutore; quest’ultima riaffiora anche nelle ultime battute, seguita da una leggerissima brezza di speranza.

    Si nota che il venditore, durante il dialogo, ci rimane un po’ male per la piega presa dal discorso: da sempre condizionato dall’idea comune non si era mai reso conto che la verità è quella che si sta insinuando tra i suoi pensieri. Va precisato che il passante non inizia questo discorso per burlarsi del venditore, ma semplicemente per farlo riflettere.

    Potremmo vedere l’almanacco come un simbolo; potrebbe simboleggiare la vana attesa di un piacere che non giungerà mai, quello che il futuro sia clemente e che ci riservi un poco di felicità. 

    Se ci pensiamo, continuare a sperare è una cosa irrazionale, che forse Leopardi vedeva con un ironico splendore. Però è inevitabile. Essendo noi esseri umani continueremo comunque in cuor nostro a sperare che l’anno nuovo porti con sé un briciolo di positività e continueremo a crogiolarci in quella vana attesa che l’anno nuovo possa essere puramente ed unicamente positivo. E anche se quest’ultima è solo una cosa vana, un’illusione, è giusto trovare ristoro in essa perché ci dà la forza di continuare ad andare avanti.

    Particolarmente presente in questa operetta è quella che tutti noi conosciamo con il nome di “Teoria del piacere”. Questa teoria è il fulcro del pensiero leopardiano a partire dal 1820. 

    Secondo Leopardi il piacere è limitato ed appartiene al dominio del finito, mentre il desiderio è infinito. Dato che la felicità è la ricerca del piacere, quindi un desiderio, si ha come conseguenza l’infelicità, data dall'infinità dei desideri e dal fatto che il mondo sia finito.  Ma l’uomo, attraverso l’immaginazione, può immaginare piaceri che non ci sono nella realtà e che sono infiniti. L’unica felicità è quindi l’illusione.

    Tutto questo, che deriva da pagine e pagine dello Zibaldone ( una mastodontica raccolta di pensieri) è abilmente riassunto da Leopardi in questa operetta, in modo perfettamente nitido e semplice.

    Proprio per questo e per l’andamento rapido del testo, questa operetta venne molto apprezzata dalla critica, che la considerava una delle meglio riuscite in questa raccolta.

    Dopo aver letto questa Operetta morale mille domande mi hanno affollato la mente. Dobbiamo quindi considerare lo scorrere del tempo ed il susseguirsi degli anni come un’entità inclemente e “cattiva” nei nostri confronti, o come un qualcosa di passivo, o ancora condizionato dal fato? Noi esseri umani sbagliamo ad essere così esageratamente positivi o questo è semplicemente un modo per auto-convincerci che forse qualcosa di positivo arriverà?

    Io credo di non poter rispondere con nessuna certezza a questa domanda; posso solo dire che, in questo caso, Leopardi mi ha aiutata ad aprire la mente a pensieri che mai avrei anche semplicemente sfiorato. 

    Forse lui sarebbe riuscito a darci una risposta a queste domande, o forse, anche lui, sarebbe rimasto inerme davanti al mare di possibili risposte che ci si proiettano.


G.R. IVA ginnasio


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