“È l’ultima volta che giochiamo senza aver potuto godere di almeno 72 ore di riposo. La prossima volta non ci presenteremo.” A metà marzo si è espresso così Carlo Ancelotti, allenatore del Real Madrid, in seguito agli impegni ravvicinati della sua squadra contro Atlético Madrid e Villarreal. La questione da lui sollevata pare universalmente riconosciuta, dato che proprio qualche giorno fa anche un giocatore degli odiati rivali del Barcellona, Jules Koundé, ha affermato che “i giocatori non sono macchine; devono capire che non possono programmare le partite come vogliono: è irrispettoso per noi giocatori che abbiamo bisogno di riposo.” Quest’anno ad aggravare la situazione concorrerà anche una nuova competizione, la Coppa del mondo per club, che avrà luogo negli Stati Uniti tra il 14 giugno e il 13 luglio, portando il numero di partite giocate da squadre come l’Inter a più di 70 o forse addirittura 80, cifre folli che hanno mostrato immediatamente i loro effetti negativi: i giocatori non solo sono maggiormente soggetti ad infortuni, ma hanno anche meno tempo per allenarsi per partite in cui il ritmo del gioco pare sempre più blando: è lapalissiano notare che chi gioca una coppa europea o nazionale a metà settimana e il campionato nel weekend ha spesso risultati decisamente scarsi, se non in termini di risultato, quantomeno sul piano energetico.
“La cosa delle 72 ore mi fa morire dal ridere. Lo facciamo in questo modo da 14 anni e sembra che nessuno se ne sia accorto. Si sono dimenticati delle cinque sostituzioni per queste cose. Se fai tutte le sostituzioni all’85° minuto…” È stata questa invece la risposta alle minacce di Ancelotti da parte del presidente della Liga Javier Tebas, che ha dunque definito ingenuo il metodo usato dall’allenatore sui cambi a partita in corso. La sua posizione è tutt’altro che un unicum nel panorama europeo. Difende infatti la tesi di Tebas anche chi, come l’ex-calciatore francese Jérôme Rothen, sostiene che “se ti dedichi al tuo lavoro, sei pagato per questo... per essere bravo in campo, per prepararti!" Lo sport è una parte fondamentale della cultura, del gossip, della mentalità di un popolo, ed esserne i protagonisti deve essere motivo di orgoglio oltre che di cospicua retribuzione, e deve inoltre costituire un incentivo a dare sempre il meglio di sé nonostante le energie fisiche e mentali che da esso vengono sottratte.
Oltre che nell’ambiente calcistico un problema simile si può trovare anche nel basket sia nel contesto europeo dell’Eurolega e dei campionati nazionali che nella ancora più famosa NBA americana. Infatti, riguardante quest’ultima, si può parlare di “gestione del carico", tradotta letteralmente dall’inglese “load management”, dove “carico” sta per lo sforzo compiuto dai giocatori durante una lunga stagione cestistica, carico che è necessario che sia regolato per ottenere una performance migliore dei giocatori nelle fasi più cruciali del campionato. Questa policy del “load management” è stata necessaria a causa dell’elevato numero di partite disputate dai giocatori durante il calendario, che può variare da 82 fino ad arrivare oltre al centinaio, e anche dal fatto che si giochi una partita ogni 2/3 giorni. Tuttavia ciò può arrivare anche ad inficiare su diversi fattori come i diritti dei giocatori, la loro salute, la spettacolarità dello sport e gli ascolti televisivi. Molti reclami sono stati fatti anche da personaggi importanti nel contesto NBA, uno fra tutti Steve Kerr, allenatore dei Golden State Warriors: “Sono anche favorevole a una stagione di 75 partite, ma non lo faranno mai. Quello che mi preoccupa, però, è che, con il modo in cui giochiamo la nostra stagione ora, abbiamo praticamente una partita ogni due giorni…si ha pochissimo tempo per allenarsi, e penso che la qualità del gioco ne risenta”.
In definitiva, quanto analizzato finora evidenzia che in una buona parte degli sport più seguiti come appunto calcio o pallacanestro, ma si potrebbe ampliare il dibattito anche a sport come il tennis, il tema del calendario sportivo affollato da partite ravvicinate tra di loro è un tema molto controverso e discusso. Infatti, essenzialmente, è possibile ritrovare due opinioni opposte: una che afferma che l’elevato numero di partite possa ledere i diritti e la salute dei giocatori e, di conseguenza togliere spettacolarità allo sport e un’altra avversa che ritiene che questi giocatori siano pagati a sufficienza per compiere il loro lavoro anche quasi 24/7.
Il dibattito rimane aperto e probabilmente non troverà una soluzione immediata, ma ciò che è certo è che il futuro dello sport professionistico dovrà necessariamente bilanciare spettacolarità, esigenze economiche e tutela della salute degli atleti, per evitare che la passione si trasformi in un semplice atto di resistenza fisica.
L. I.
2A Classico
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