Perdersi
in questo vortice è molto facile, soprattutto prendendo in considerazione la
velocità inarrestabile degli stimoli che riceviamo ogni secondo, stimoli che ci
disorientano costantemente.
Per
fare luce sulla questione, è importante prendere in esame questa stessa
sensazione di smarrimento e chiedersi con che cosa abbiamo a che fare
veramente, quando immaginiamo la fine del mondo?
A
questa domanda ha risposto Alessandro Sbordoni, autore del libro “Semiotics of
the End” (“Semiotica della fine”, 2024, Becoming Press). In questo testo, una
raccolta di saggi (a sua volta commentata dal filosofo sloveno Slavoj Zizek,
nell'articolo “We already live in the end of the world”), le immagini della
fine vengono analizzate nella musica, nel cinema, nella filosofia - tutto
attraversato da un filone di pensiero trasversale, l’idea che la fine del mondo
la stiamo vivendo adesso. “Not with a Bang, but with a Yawn”, è il titolo del
primo capitolo: il collasso non sarà uno spettacolo biblico, ma la
semplicissima, terribilmente noiosa, eterna ripetizione dell'identico. L’autore
riprende la riflessione di Mark Fisher nel suo “Realismo Capitalista”, dove si
arriva ad una conclusione molto netta: ciò che viene dopo la fine è tutto
immaginario, abbiamo campo libero.
M.C. (R.), 5B LING.
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