Il 246
La storia che vi sto per raccontare inizia nel 1976 ed è finita l’anno scorso. I personaggi principali sono tre: zio Luis, zia Anastasia e quello che era sempre stato un deposito di pezzi navali, il 246. Lui, lo zio, un uomo energico di origine cubana, suonatore di jazz in gioventù, sbarcato sulla costa ligure nel ‘70: da qui non se ne andrà mai più. Lei, la zia, nata e cresciuta tra i carruggi di un paesino della Riviera di Ponente, solare e testarda, inizia giovanissima a lavorare in un ristorante sulla spiaggia, per garantirsi un’indipendenza economica. Il terzo personaggio è il locale stesso: un magazzino di pezzi navali abbandonato qualche anno prima, nel ‘60, invecchiato ad arte dalla salsedine e dal Libeccio incessante. I nostri due protagonisti, lo zio e la zia, si incontrano proprio sulla spiaggia lí vicino, quella su cui il 246 proietta la sua ombra imponente. È una sera di inizio luglio, l’estate è ancora lunga e loro la spenderanno tutta fianco a fianco, così come le successive: non si lasceranno piú. Dicono che gli amori estivi non durino, che i marinai facciano promesse false e i musicisti ancora di più. Dicono che il caldo faccia perdere la testa facilmente e che la brezza serale porti via con sè tutti i progetti futuri che gli innamorati si sussurrano seduti sugli scogli. Io non lo so se gli zii fossero l’eccezione che conferma la regola, o se regole in realtà non ce ne siano, so solo che gli atti di compravendita del vecchio deposito furono firmati nel aprile 1976 dopo un matrimonio semplice, fortemente voluto. Il 246 diventó ben presto non solo un bar tavola calda durante il giorno, ma anche uno dei primi jazz club durante le lunghe notti estive. La gente arrivava da Imperia e da Ventimiglia, le vie strette si riempivano di Fiat 127, per ascoltare quella musica d’oltreoceano che faceva sognare di vite nuove, come spesso succede d’estate. Durante gli anni il locale sembrava vivere in un tempo tutto suo, in cui non contavano gli anni dei miei zii o le mode esterne: la gente continuava ad arrivare da lontano e loro tre erano sempre lí, in simbiosi, ad accoglierli. Ma l’estate passa -ne passarono tante-, arriva il freddo, l’inverno e la pioggia. Era l’ottobre del 2018 quando l’alluvione si abbattè sulla fragile costa ligure, devastando porti e stabilimenti, e con loro il 246. La pioggia fu impietosa sulla facciata e provocó gravi danni anche all’impianto elettrico; i danni erano troppi grandi per essere riparati del tutto e i miei zii troppo anziani. Lo zio Luis, che aveva già avuto problemi al cuore l’anno precedente, fu di nuovo costretto ad un letto d’ospedale: zia Anastasia mi raccontava incessantemente di come, nel momento in cui staccarono la corrente al loro locale per l’ultima volta, lo zio Luis si spense nella sua camera all’ospedale. Lei morí qualche mese più tardi, privata ormai dei due grandi amori della sua vita. Solo il 246 rimase, così come lo possiamo vedere oggi, stranamente silenzioso nelle sere in cui un tempo era protagonista.
Elena,
II B Class.
Foto privata della scrivente.
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