Uscito
più di dieci anni fa, è quasi inquietante quanto la predizione di Her sia
accurata nel delineare la nostra condizione attuale, segnata da solitudine e
meccanismi di distrazione.
La
storia è quella di uno scrittore che a seguito del suo divorzio si rifugia tra
le braccia virtuali della sua assistente operativa, con la quale instaura una
relazione. Inizialmente esitante nei suoi confronti, il nostro protagonista
Theodore si abbandona sempre più a questo conveniente segnaposto, il quale è
programmato per soddisfare ogni suo bisogno…fino a quando non arriva alla
triste realizzazione che lui non è l'unico a fare ricorso al conforto che
l’onnipresente Samantha può provvedere.
La
solitudine di Theodore è magnificamente rappresentata nella cinematografia, che
sia tramite inquadrature, i luoghi che lo circondano, o la musica che lo
accompagna in sottofondo; ma, ancor meglio, anche nella storia in sé: quasi
tutti attorno a lui sono a loro volta complici della realtà in cui vivono, dove
la forma di relazione più comune è quella tra androidi e umani.
La
bellezza di Her è racchiusa però nel finale incerto e infelice, che vede il
protagonista di nuovo solo: la storia non pretende di incastrargli un lieto
fine che ci assolva dall’angoscia causata dalla realizzazione che alla fine, a
discapito di quanto il mondo possa evolvere, tutto ciò che ci rimane è noi
stessi; il film va oltre l’assurdo, e nel suo elemento artificiale, riesce ad essere
straordinariamente umano.
Non
basterebbero tutte le parole del mondo per catturare al meglio l'affascinante e
toccante essenza di Her, perciò non mi resta che incitarvi a scoprirla voi
stessi augurandovi una buona visione.
T.
G.
4ASCU
Commenti
Posta un commento