TRA LUCI E SILENZI
Ciao a tutti, mi chiamo Hiba, ma per i miei amici sono Hibis.
Voglio raccontarvi la mia esperienza nello spettacolo del 25 novembre. Ho partecipato e mi sono divertita molto. Ho imparato tanto e ho fatto molte riflessioni… ma prima voglio raccontarvi cosa era successo.
Era un periodo molto difficile della mia vita. Sono quel tipo di ragazza poco conosciuta, la “sfigata” della scuola. Ricordo che ultimamente non stavo nemmeno più piangendo, e voi potreste pensare che sia una cosa normale o persino positiva, ma in realtà non riuscivo più a provare nemmeno un briciolo di felicità o di rabbia. Solo il vuoto. Ogni giorno che passava era come se non esistesse.
Ma torniamo a quella giornata. Ricordo di essermi svegliata presto, come sempre. Sono quel tipo di ragazza che, se ha un evento importante – una festa, un’uscita o una gita – si sveglia prima del dovuto. Infatti quella mattina mi sono svegliata alle 4. E voi direte: “Non è un po’ troppo presto?” Ragazzi, cercate di capirmi: dovevo salire su un palcoscenico vero, con un pubblico pieno di gente, ed era la mia prima volta.
Mi sveglio, faccio colazione e mi vesto con uno stile semplice, poco appariscente. Preparo la borsa con tutto ciò che poteva servirmi per lo spettacolo.
In quel periodo ero come un manichino, senza volto. Mangiavo poco, non avevo più quelle guanciotte di prima, né le forme carnose che mi facevano sentire viva. Quando mi guardavo allo specchio mi chiedevo chi fossi diventata. Mi osservavo con uno sguardo freddo e giudicante, come se stessi guardando la mia nemesi.
Mi sistemo i capelli: prima li inumidisco con un po’ d’acqua, poi metto il gel e la crema/balsamo per farli stare in ordine… chi ha i capelli ricci può capirmi!
Poi preparo lo zaino, perché sarei uscita da scuola alle 11:30, quindi le prime ore dovevo stare in classe. Oddio, stare lì… non ho niente contro nessuno, ma purtroppo non sopporto la gente. Per questo non parlo praticamente con nessuno. Sono una ragazza che odia parlare o ridere con le persone perché è rumoroso e noioso. In più odio i posti piccoli e affollati: si sentono solo brusio e rumori esterni. Già hai in testa i tuoi pensieri che fanno caos, e poi devi sentire anche quelli degli altri? E la cosa peggiore è che non puoi alzarti e andartene: devi stare lì, immobile, a subire.
È stancante sentire un adulto parlare continuamente. Mi chiedo come facciano i professori. Ora non so voi, ma io la mattina ho solo voglia di dormire oppure di guardare una serie su Netflix, tipo “Non ho mai”, con un bicchiere di cioccolata, e non di parlare di argomenti che ho già trattato con altre classi. Cioè, quante volte possono ripetere lo stesso tema, solo con classi diverse? Poi, quando tornano a casa, devono correggere un sacco di verifiche e subire sempre le scene drammatiche da parte di qualche allievo o allieva, perché magari uno prende un’insufficienza e deve subire anche i genitori durante il colloquio, che dicono: “No, mio figlio studia, è colpa tua se non riesci a spiegare!”.
È per questo che ho sempre rispetto per i professori. Onestamente penso che, dopotutto, subiscano già abbastanza, senza contare le solite giustificazioni o lamentele di certe persone. La cosa incredibile è che, nonostante tutto, li vedi sempre sorridenti a 32 denti, con la voce calma, gentili e disponibili anche con chi forse non lo merita. Io li invidio: se per sbaglio il mio alluce colpisce qualcosa, cambio subito faccia, mentre loro… niente, restano calmi e impassibili.
Se stai leggendo questo testo sei un insegnante, congratulazioni: ti stimo.
Per quanto riguarda la mia esperienza su quel palco, posso dire che è stata fantastica: per la prima volta avevo un camerino tutto per me e, inoltre, anche un microfono auricolare, di quelli che si indossano sull’orecchio.
Mi è piaciuta moltissimo l’orchestra: erano così vivaci! Quando eravamo nei camerini, cantavano a squarciagola ed erano davvero formidabili. Erano perfettamente coordinati tra loro mentre suonavano, e le persone che cantavano avevano voci straordinarie: pulite, intonate e capaci di unirsi in modo unico e armonioso. Tra loro avevo notato una ragazza con gli occhiali neri, la frangetta e poco più alta di me. È stata la prima a cantare e, quando ha iniziato, sono rimasta senza parole, soprattutto affascinata dalla sua voce.
Le ballerine erano tutte ragazze bellissime e la loro presenza si percepiva in modo molto intenso: erano sicure di sé, leggere e spensierate, come se nulla potesse scalfirle. Erano vestite di rosso; c’era un solo ragazzo, vestito di blu. Sono riuscite a interpretare perfettamente ciò che noi attori volevamo esprimere e, soprattutto, si muovevano in modo talmente fluido e naturale che, onestamente, se ci avessi provato io, mi sarei spezzata in due!
Poi siamo arrivati noi, gli attori, che dovevamo recitare, muoverci e far capire al pubblico ciò che stavamo raccontando con le nostre azioni e parole. E voi penserete che sia stato facile, vero? Ve lo dico io: no. Quando ti rivolgi a un pubblico così grande, diventa molto difficile, perché bisogna saper gestire le emozioni, rimanere concentrati e cercare di evitare qualsiasi distrazione.
Anche se hai le luci puntate in faccia, anche se sei stanca, anche se hai mille problemi o ti sembra che il mondo ti sia crollato addosso, devi raggiungere il tuo obiettivo a qualsiasi costo. E si sa, purtroppo, che c’è chi ci riesce e chi non ci riesce. Ma anche chi non è riuscito a raggiungere pienamente l’obiettivo deve comunque considerarsi il migliore, perché chi, mai, avrebbe parlato e recitato di un argomento così discusso e delicato alle 21:00 davanti a 500 persone? In tanti non ci sarebbero riusciti.
Dietro le quinte c’era un grande via vai, e c’era un ragazzo del gruppo che girava tra i camerini bussando alle porte e chiedendo: “Vuoi una banana?”
Ora potreste pensare che sia stato poco intelligente o fuori luogo, ma in realtà ha fatto molto: ha diminuito la tensione. Io ero molto agitata e preoccupata per quello che sarebbe successo o per come sarebbe finita. Ma appena vedi una persona offrirti una banana con un sorriso e guardarti negli occhi con gentilezza, ti fermi e ti chiedi come faccia a sorridere in quel momento e perché tu non ci riesca. Poi capisci cosa ti serviva davvero, ovviamente non una banana, ma una persona che ti desse un po’ di conforto.
Io odio quando le persone mi guardano con uno sguardo gentile, perché non sono abituata. Ma il suo sguardo, per me, era come se dicesse: “Se questa notte andrà male, fa niente, ci abbiamo provato. Non starci male, fai in modo che la tua testa non gridi contro il tuo cuore… e poi, almeno, hai mangiato una banana.”
E in quel momento ti rendi conto di quanto sei stata stupida e cerchi di ricordare l’ultima volta in cui ti sei davvero divertita, in cui hai pensato: “Ehi, mi sento così bene, sono felice.” Ma quando la tua mente non riesce a trovare nessun ricordo in cui ti sei sentita davvero bene, capisci di avere un vuoto dentro di te. All’inizio proverai a riempirlo con gli amici, con l’amore o con degli impegni, ma niente riuscirà a tacere quel vuoto che ti opprime.
Ogni secondo. È questo ciò che ho pensato per tutto il tempo. Mi sono chiesta: Che cosa sto facendo? Perché sono qui? Merito davvero di essere in questo mondo? Ho sbagliato la parte che dovevo recitare… e adesso? Perché faccio così pena? E piangi, perché eri convinta di aver fatto tutto con le idee chiare, ma quando ti rendi conto che niente di ciò che pensavi ha davvero senso, all’improvviso ti spezzi. È proprio quello che è successo a me: dopo lo spettacolo ho pianto tanto.
Mi sono sentita così persa nei miei pensieri, ma qualcuno mi ha preso per le spalle e mi ha spronato gridando: “E DAI, SORRIDI! SE NO FINISCI MALE!” Ricordo che mi sono risvegliata letteralmente. Per carità, ho pianto ancora, ma quando una persona ti sprona così, agitandoti come ha fatto lui, ti svegli davvero. Poi mi ha abbracciata. Una delle poche cose che amo della vita sono gli abbracci, perché è come se i nostri cuori si intrecciassero tra loro. Non parlo di abbracci tra amici, di quelli che danno una pacca sulla schiena. Parlo di quelli veri, che ti danno conforto e sicurezza. Non è stato solo lui, ma anche altre persone. In quel momento mi chiedevo qual è stata l’ultima volta che ho avuto un abbraccio del genere. Chi mi ha abbracciato mentre ero in lacrime? Quelle persone restano nella vita, anche se le strade si dividono, e il legame resta come un filo rosso, tra deserti, mari, oceani e montagne.
Mi ha detto che sono molto brava, e non solo lui: anche le mie compagne e i miei professori. Per una volta, mi sono sentita apprezzata. Di solito sono abituata a stare da sola, a piangere, mentre tutti ti evitano… ma stavolta non è successo.
E in questo mondo così contorto, capisci che a volte hai bisogno di qualcuno che ti stia vicino, che ti dia forza, che ti abbracci davvero. Qualcuno che ti faccia sentire che, anche nei momenti più difficili, non sei sola… e sì, che a volte serve anche una banana
H.L, IVA COM
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