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Frankenstein: la psicologia del costume


Il Frankenstein di Guillermo del Toro ha incantato pubblico e critica per la sua potenza visiva e per la sensibilità emotiva che attraversa ogni scena. Tra gli elementi più affascinanti del film spiccano i costumi ideati da Kate Hawley: non semplici abiti, ma estensioni della psicologia dei personaggi, strumenti narrativi che raccontano la loro evoluzione e il loro rapporto con i temi chiave dell’opera. Ogni scelta di colore, tessuto e struttura contribuisce a delineare un percorso interiore che le immagini amplificano con straordinaria precisione.

Victor Frankenstein è il primo a manifestare questa costruzione simbolica. I suoi abiti non richiamano la figura tradizionale dello scienziato, ma piuttosto quella di un artista, ispirandosi alla Londra degli anni Sessanta e all’iconicità camaleontica di David Bowie. Il bianco e il nero dominano la sua palette cromatica, interrotti da lampi di rosso vivo che rimandano al sangue, alla violenza latente e alla responsabilità che rifiuta ostinatamente di assumersi. I guanti sono forse il dettaglio più significativo: la metafora visiva delle sue mani sporche, del tentativo continuo di celare la colpa. E quando, nel corso del film, il suo aspetto si fa via via più selvaggio e bestiale, la trasformazione degli abiti segue fedelmente la sua discesa nella follia, riflettendo la perdita di controllo e il dissolversi della sua umanità.

La madre di Victor, avvolta costantemente nel rosso, diventa un presagio vivente della scia di sangue che attraverserà l’intera storia. L’impronta insanguinata che lascia sul figlio è un gesto che ha il valore di un marchio: un’eredità tragica che si riflette nei guanti rossi di Victor e che lega simbolicamente il suo destino a quello di Elisabeth.

Elisabeth, al contrario, è caratterizzata da abiti che si ispirano alla natura. Stampe organiche, motivi che richiamano farfalle e scarabei e stoffe iridescenti ne definiscono l’identità, mettendola in contrapposizione con l’ambizione scientifica e artificiale di Victor. All’inizio del film le sue vesti sono pesanti, stratificate, quasi una corazza che la protegge. Ma nel momento in cui incontra la Creatura, queste barriere cominciano a dissolversi: gli strati di tessuto si riducono, la silhouette si alleggerisce, e la sua immagine si fa più vulnerabile. È un cambiamento che rispecchia il suo desiderio di avvicinarsi alla Creatura, di riconoscerne l’umanità e di abbattere le distanze sociali. La culminazione visiva di questo percorso è l’abito da sposa: un omaggio al Bride of Frankenstein del 1935, ma anche una struttura che ricorda una gabbia toracica e le bende della Creatura, trasformando il costume in un simbolo di connessione tragica e sacrificio.

La Creatura, infine, attraversa la trasformazione più evidente e più profondamente simbolica. Appare da subito avvolta in bende e in un perizoma essenziale, evocando la crocifissione e insieme la nascita, come un essere risorto a una nuova esistenza. Questa essenzialità esprime purezza, fragilità e vulnerabilità, ma anche una nudità emotiva che nessun altro personaggio possiede. Con il passare del tempo, e con l’aumentare della sua consapevolezza, i suoi abiti diventano sempre più elaborati, segnando il tentativo di integrarsi, di costruire una facciata accettabile agli occhi del mondo. Tuttavia, proprio questa crescente complessità rivela la sua condizione di emarginato: gli abiti diventano una maschera, uno strato artificiale che tenta di proteggere la sua diversità senza riuscire davvero a nasconderla.

Nel Frankenstein di del Toro, i costumi non servono soltanto a collocare i personaggi in un’ambientazione, ma a raccontare la loro storia interiore. Ogni tessuto, ogni colore e ogni dettaglio diventa parte del loro corpo narrativo, manifestazione visiva delle loro paure, dei loro desideri e delle loro metamorfosi. In un film in cui la vita viene costruita e distrutta, in cui il corpo è al tempo stesso ferita e memoria, anche gli abiti partecipano a questo processo: cambiano, si trasformano, e rivelano ciò che i personaggi non riescono a dire.

N.B., 3B CLA.

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