Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: «Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene.» Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.
Quando Mathieu Kassovitz nel 1995 consegna il suo Odio prima al Festival di Cannes (dove è premiato per la miglior regia) e quindi alla storia del cinema, lo impacchetta con questa frase diventata celebre, che assolve sia al ruolo di incipit che a quello di “outro” della pellicola. In mezzo corrono 95 minuti tra i più intensi e vividi della cinematografia europea, che ad un trentennio dall’uscita rimangono il paradigma dello street movie contemporaneo.
Siamo catapultati in una giornata di vita nelle Banlieue parigine, scortati da un tridente assortito, interprete del melting pot che già nel secolo scorso caratterizzava le periferie francesi (e iniziava ad esportare la sub-cultura che sarà, tra le altre cose, la spina dorsale dell’hip-hop europeo): Vinz, rabbioso ragazzo di famiglia ebraica, Said, suo coetaneo di origine araba e Hubert, giovane pugile franco-africano.
Non è però un giorno come gli altri: il senso di ingiustizia e la voglia di rivalsa che vive nella periferia della capitale francese viene fatto esplodere dal pestaggio che la polizia ha perpetrato nei confronti di un amico dei protagonisti e nella notte che precede l’inizio della narrazione il quartiere è sconvolto da un’insurrezione popolare che lo mette a ferro e fuoco. Il clima in quartiere è rovente, in quanto non tutti appoggiano i rivoltosi. Anche nel gruppo di amici si crea una spaccatura: Vinz, che ha partecipato ai disordini riuscendo anche a sottrarre una pistola ad un poliziotto, continua a minacciare vendetta per il pestaggio e si scontra con il più riflessivo Hubert (la cui palestra è stata danneggiata negli scontri) che cerca di farlo desistere dal suo intento.
“Odio chiama odio” - Hubert
Tra battibecchi, incontri con amici e scontri con la polizia la giornata prende il via nel quartiere che, scombussolato dagli eventi della sera prima, cerca di mantenere il suo spirito pur venato da una tensione in crescendo. Said, Vinz e Hubert decidono quindi di evadere per una serata in città.
Qui l’epopea dei ragazzi di periferia si scontra con la loro incompatibilità strutturale alle dinamiche del centro, dove ogni loro avventura si infrange contro un muro di gomma, facendo aumentare la tensione tra i tre. La serata degenera quando Said e Hubert conoscono a proprie spese il sadismo dei poliziotti francesi, che si accaniscono sui due per mere motivazioni razziali. Quando ritrovano Vinz l’ultimo treno per il quartiere ha già lasciato la stazione e, dopo un maldestro tentativo di furto d’auto, il gruppo apprende da un notiziario la notizia della morte di Abdel. Proprio quando la serata ha assunto una tinta drammatica il gruppo si imbatte in un manipolo di naziskin che li aggredisce, Vinz estrae la pistola e sembra deciso ad uccidere uno dei teppisti, ma alla fine desiste e si ricongiunge con Hubert, consegnandogli la pistola.
Si torna in quartiere col primo treno del mattino, albeggia, le tensioni sembrano appianate, i propositi di violenza accantonati: il nuovo giorno sorride ai nostri eroi. È invece proprio qui che la caduta profetizzata nell’incipit si concretizza in tutta la sua crudezza.
Il finale, la cui resa non può essere descritta a parole, colpisce come un diretto in piena mascella. La violenza, fino a quel momento solo minacciata e simulata, esplode in maniera così drammatica e allo stesso tempo casuale da risultare quasi insensata e invade tutte le voci della disputa: un tonfo fragoroso che non risparmia nessuno.
Uno dei meriti del film è presentare una serie di temi sociali, all’epoca (e in molti casi ancora oggi) scottanti senza sprofondare nella retorica. Niente scenette didascaliche e demagogiche, Kassovitz mette sul piatto lo scontro sociale, etnico e identitario di una Parigi sempre più in subbuglio creando un collage di episodi tra il crudo e il genuino, in cui la guerriglia morale (l’odio, appunto) prima che fisica tra il quartiere e le istituzioni emerge come un destino che i protagonisti non si sono potuti scegliere, ma che nonostante la pluralità di visioni, li accomuna fatalmente.
“Fate che Abdel crepa, io i conti li pareggio, uno di quei porci li ammazzo” - Vinz
La memorabile interpretazione di Vincent Cassel (Vinz) e la scelta del b/n non sono gli unici ingredienti che contribuiscono all’iconicità dell’immaginario di La Haine: l’abbigliamento streetwear, le citazioni di grandi film dei decenni precedenti (Scarface e Taxi Driver tra gli altri) sono elementi che arricchiscono l’estetica del film raccontando anche del fascino esercitato dal mondo “pop” (altro elemento riscontrabile nello sviluppo della cultura hip-hop) sui ragazzi della banlieue.
A rendere immortale e storicamente interessante La Haine è anche il suo legame a doppio filo con la cultura hip-hop, che in quegli anni stava nascendo in Europa e che trova nei multietnici sobborghi parigini un terrario perfetto per proliferare. Non stupisce dunque la presenza massiccia di MC francesi nella colonna sonora, suggellata dalla memorabile sequenza in cui il dj Cut Killer fa risuonare la sua “Nique la Police” in tutto il quartiere. Inoltre il Verlan, lo slang parlato dai protagonisti, caratterizzato dall’inversione delle sillabe nelle parole, è anch’esso legato all’emergere del rap transalpino per via della sua musicalità.
Nella cultura hip-hop trovano sfogo ed espressione i sentimenti del quartiere: le mosse di break dance che i ragazzi osservano estasiati costituiscono uno dei brevi ed episodici “idilli” che smorzano la caduta dei protagonisti nel corso del film. La realtà violenta a cui appartengono li richiama immediatamente a sé con l’esplosione di un colpo di pistola, seguendo uno schema che ricorre più volte nello svolgersi della storia, con allegri sprazzi di vita interrotti da elementi esterni che sembrano richiamare i personaggi al proprio destino violento.
L’impatto del film sull’immaginario rap europeo si può dire incalcolabile, si tratta probabilmente del film più citato in assoluto dai rapper italiani (di qualsiasi generazione), a testimonianza del fascino immortale che dalla sua uscita esercita sui “quartieri” di tutta Europa.
Proprio lo spirito dei sobborghi di periferia, dalle dinamiche più intime, familiari e di gruppo, fino al grande ma velleitario ideale sovversivo, è stato magistralmente catturato dalla cinepresa di Kassovitz. La Haine non eccede di un frame: un affresco in bianco e nero che affascina, trascina e lascia senza fiato. Alla fine rimane il dramma di un odio senza sbocco e senza risposte, destinato ad essere esaurito da un colpo di pistola.
F. G.
5B Scientifico
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